venerdì 12 agosto 2016

Il riconsolidamento della memoria

IL RICONSOLIDAMENTO DELLA MEMORIA

Dimenticare un evento della propria vita potrebbe non essere un processo definitivo: lo dimostra un nuovo studio sui topi di laboratorio, in cui gli sperimentatori sono riusciti a invertire l'amnesia totale di un evento doloroso. Il risultato è un passo avanti significativo per la comprensione dei meccanismi della memoria e potrebbe avere in futuro un impatto significativo per alcuni disturbi psichiatrici


I ricordi autobiografici che non riusciamo più a richiamare potrebbero non essere perduti per sempre, ma nascosti da qualche parte nel nostro cervello. È la suggestiva ipotesi che emerge da un nuovo studio sperimentale sui processi di consolidamento e riconsolidamento della memoria condotto sui topi da un gruppo di ricercatori dell'Università di Cardiff, nel Regno Unito, guidati da Kerrie Thomas, e illustrato sulle pagine di “Nature Communications”.

Il consolidamento della memoria è un processo che può durare da alcuni minuti ad alcune ore, in cui avviene la conversione di una traccia mnestica da una forma instabile a una forma stabile, che può così essere richiamata anche a distanza di giorni oppure di anni. Questo richiamo successivo, come dimostrato da alcuni studi, è un processo dinamico, perché riporta il ricordo consolidato nella sua forma instabile, che necessita di un riconsolidamento.

A questo riguardo, un risultato rilevante, emerso dagli studi sui topi di laboratorio, è che se interviene qualche elemento a interferire con il riconsolidamento, un ricordo può essere perduto per sempre. Questa amnesia permanente è denominata blocco del riconsolidamento.

Ricordi perduti ma non per sempre

Con i topi di laboratorio, il fenomeno del blocco del riconsolidamento si evidenzia con un tipico esperimento di condizionamento classico, o pavloviano, in cui l'animale viene esposto a uno stimolo neutro (condizionato), per esempio un suono, associato a uno stimolo doloroso (incondizionato). Dopo diverse ripetizioni del condizionamento, il roditore mostra di avere paura, manifestando il caratteristico “congelamento sul posto”, ogniqualvolta percepisce lo stimolo condizionato.

Se si silenziano i geni Zif268 o Arc nella regione cerebrale dell'ippocampo
dei topi e si inibisce così la sintesi delle rispettive proteine, implicate nei processi di consolidamento e riconsolidamento, è sufficiente richiamare un ricordo, esponendo per esempio i topi allo stimolo condizionato, per far sì che lo stesso vada perduto per per sempre: i topi, in sostanza, non hanno più paura dello stimolo condizionato.

Ora però i ricercatori di Cardiff sembrano smentire almeno in parte questo modello, dimostrando che la paura dello stimolo condizionato, nelle stesse condizioni sperimentali, può essere ripristinata, ricorrendo a un altro fenomeno caratteristico del condizionamento classico: l'estinzione della paura. Se infatti gli animali condizionati vengono esposti ripetutamente al solo stimolo condizionato - in pratica, al solo suono senza stimolo doloroso successivo – dopo un certo tempo non mostrano più alcun timore.

Thomas e colleghi hanno indotto nei topi il blocco del riconsolidamento mediante il silenziamento genico, e li hanno poi esposti al solo stimolo condizionato, che ha avuto l'effetto di ripristinare la risposta comportamentale condizionata, cioè la paura.

“Le precedenti ricerche in questo campo hanno scoperto che il richiamo di un ricordo è un processo sensibile alle interferenze, che in alcuni casi portano al completo oblio”, ha spiegato Thomas. “Il nostro studio ora ha dimostrato che il ricordo non è perduto completamente e può essere recuperato".

Il risultato dello studio ha diverse conseguenze, sia sul piano teorico sia sul piano pratico. In primo luogo, infatti, dimostra che i meccanismi molecolari del blocco del riconsolidamento interferiscono con quelli dell'estinzione, smentendo l'ipotesi che il riconsolidamento sia un processo di memoria a sé stante. In secondo luogo, contribuisce a chiarire alcuni meccanismi fondamentali della memoria che potrebbero essere utili a fini terapeutici in soggetti colpiti da amnesia.

“Siamo ancora lontani dal poter aiutare le persone con problemi di memoria, ma questi modelli animali riproducono accuratamente ciò che avviene nel cervello umano, suggerendo che le nostre memorie autobiografiche, quando sembrano perdute definitivamente, potrebbero essere invece aggregate in modo diverso ad altri ricordi”, ha concluso Thomas. “Questa ipotesi apre interessanti prospettive per disturbi psichiatrici come la sindrome post traumatica da stress, la schizofrenia e la psicosi, in cui i problemi di memoria hanno un ruolo importante”. Credit Le Scienze

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