domenica 11 maggio 2014

Neuroscienze e apprendimento





Le scienze dell’educazione ( la pedagogia, la didattica, la psicologia, la filosofia, la sociologia, l’antropologia), possono ancora oggi suggerire, al fine di comprendere la vera natura dell’uomo, i suoi misteri profondi, i significati più propri da attribuire a parole d’uso comune, anche nel mondo umanistico e letterario, come amore, anima, coscienza e, soprattutto, mente?
O saranno la Biologia della mente, le scienze cognitive, la neuropsicologia e le neuroscienze a dire qualcosa di definitivo sulla natura dell’apprendimento esplicito che richiede una partecipazione cosciente e che consiste nell’acquisizione di informazioni su persone luoghi e cose, e, naturalmente, sulla memoria in quanto immagazzinamento delle medesime informazioni, a breve o lungo termine?



La frontiera della ricerca nel settore umanistico è quella indicata dalle scoperte, pressoché quotidiane, di gruppi di ricercatori stranieri che trovano una eco nelle Riviste di settore, prevalentemente in inglese, ma anche in italiano, come Nature, Le Scienze e Mente & Cervello. Perché le neuroscienze? In fondo l’attività didattica, e quindi il fine di ogni insegnamento scolastico, non è quello di facilitare l’apprendimento del bambino? Si tratta, pur sempre, di dare informazioni che restino nella mente e che incidano sugli atti concreti che si compiono nel corso dell’esistenza: capire qualcosa, riconoscere situazioni d’esperienza analoghe, decifrare il linguaggio del quale facciamo costantemente uso, imparare ad esprimersi in forma scritta e in forma orale, padroneggiare lo spazio, assumere e rappresentare numericamente la durata del tempo, apprezzare e godere del bello che c’è nelle cose e nell’opera dell’uomo, aprire lo sguardo sul passato per recuperare la memoria, e, infine, andare oltre il contingente e il provvisorio per proiettarsi nel cielo alla ricerca di una ragione di senso. Così è d’obbligo la  conoscenza dei meccanismi neuronali che presiedono ad ogni situazione di apprendimento, addirittura condividendo con la Montessori che gli organi di senso, “le porte dell’anima”, scaricano, anche attraverso vere e proprie correnti elettriche, la percezione degli oggetti e delle persone con i quali ci relazioniamo, sul cervello, vera e propria, “scatola magica”o, come la definisce j. Monod, “l’altra frontiera”.










Di qui, dunque, gli argomenti da recuperare e consegnare agli studiosi delle scienze dell’educazione ( la pedagogia, la didattica, la psicologia, la filosofia, la sociologia, l’antropologia), giusto per citare quelle per così dire “classiche”, in modo da privilegiare le indicazioni che si possono ricavare dalle scienze neurobiopsicologiche, capaci di fondare, o meglio di arricchire, lo spazio aperto dalle ricerche di S. Freud e da completarle con quello che la “biologia della mente” può oggi suggerire al fine di comprendere la vera natura dell’uomo, i suoi misteri profondi, i significati più propri da attribuire a parole d’uso comune, anche nel mondo umanistico e letterario, come amore, anima, coscienza e, soprattutto, mente.










L’illusione derivata dalla “morte della pedagogia”[1] che non aveva trovato più accoglienza nella cultura della comunità dei viventi, e meno che mai nei media più comuni, in fondo segnala il bisogno di un recupero, l’incongruenza di un silenzio che non poteva certamente giovare alle generazioni che crescono e che avanzano ad ogni istante domande di senso e di cultura.
Così, sollecitato soprattutto dalla riflessione sull’opera e sugli scritti di alcuni tra i più recenti Nobel, in primo luogo Eric Kandel, ma anche “l’uomo che scambiò sua moglie per un cappello”, Francis Crick, è giunto il momento di chiarire il portato della memoria e l’autenticità dell’apprendimento che stanno alla base, ovviamente, di ogni processo di crescita e di sviluppo della persona umana.











La mente non è una declinazione verbale, ma un sostantivo vero e proprio. Come a dire che il cervello è il cervello e la mente è, appunto, la mente, cioè una entità indecifrabile e bellissima, addirittura misteriosa, perfino potente. Nessuno nega l’esistenza di “stati mentali” che danno conto e coscienza di sé e degli altri, come anche danno consapevolezza del passato e del futuro. Sono prodotti, i più elevati, della mente umana e dipendono da un gioco molecolare. Ma c’è da chiedersi: se vogliamo indagare e scoprire la natura e i segreti di questi stati mentali dobbiamo, all’origine, dare conto della natura e delle funzioni del cervello, perché è lui “il pilota automatico”, quello che i behavioristi non potevano accertare perché non osservabile. Lo scrive Kandel: “Skinner e i behavioristi si concentrarono in maniera esclusiva sul comportamento osservabile ed esclusero dal loro lavoro ogni riferimento alla vita mentale e ogni sforzo mirato all’introspezione, essendo questi elementi che non potevano essere osservati, misurati o impiegati allo scopo di sviluppare regole generali sul modo in cui le persone si comportano”.[2]












La “biologia della mente”, proposta da Kandel, faciliterà la risposta più propria. Eccola: “La maggior parte di noi accetta tranquillamente gli esisti della ricerca scientifica sperimentale quando valgono per altre parti del corpo: ad esempio, siamo del tutto a nostro agio con il fatto che il cuore non è la sede delle emozioni, ma un organo muscolare che pompa sangue attraverso il sistema circolatorio. Eppure l’idea che la mente e la spiritualità umane si originino in un organo fisico, il cervello, per alcuni suona nuova e allarmante. Costoro trovano difficile credere che il cervello sia un organo computazionale che elabora informazioni, la cui meravigliosa potenza non deriva dal suo mistero, bensì dalla sua complessità: dall’enorme quantità, varietà e interazione delle sue cellule nervose”.[3] 
Cervello e mente sono la stessa cosa. La scienza della mente, fin dagli anni Settanta, fusa con la neuroscienza, appunto la scienza del cervello, ha risolto il dilemma.
Biologia della mente, scienze cognitive, neuropsicologia e neuroscienze sapranno allora dire qualcosa sulla natura dell’apprendimento esplicito che richiede una partecipazione cosciente e che consiste nell’acquisizione di informazioni su persone luoghi e cose, e, naturalmente, sulla memoria in quanto immagazzinamento delle medesime informazioni, a breve o lungo termine.













La scommessa sulla mente

Una “biologia della mente”, qual è proposta dal Kandel, può aiutarci a capirne la natura e la funzione nell’economia intera dell’attività neuronale. Ciò è stato possibile certamente per la fusione della scienza della mente con la scienze del cervello, tanto che la tecnologia dell’imaging cerebrale ha autorizzato i neuro scienziati di entrare dentro al cervello, come hanno fatto Turnbull e Solms per rilevare quello che succede quando si esaminano gli stati mentali come il percepire un’azione visiva, pensare ad un percorso spaziale o avviare un’azione volontaria. “L’immagine cerebrale opera per mezzo di indici che misurano l’attività neurale: la tomografia a emissione di positroni (PET) rileva il consumo di energia del cervello e l’imaging a risonanza magnetica funzionale (fRMI) ne rileva l’utilizzo di ossigeno”.[4] Ma anche le neuroscienze cognitive con la biologia molecolare hanno contribuito a definire una “biologia molecolare delle attività cognitive” che facilita conoscenza di processi mentali come il modo di pensare, di provare sensazioni, di apprendere e ricordare. Tutto ciò consente di riaffermare l’evoluzione dei processi mentali che la biologia della mente alla fine riuscirà a spiegare per comprendere i passaggi tra le cellule nervose che comunicano fra loro.












Quello che sicuramente dobbiamo rilevare è che l’insieme della psicologia cognitiva, della biologia molecolare, della neuroscienza, della biologia della mente, della filosofia della mente forniscono risposte alle domande che emergono dalla lettura della memoria che ha la forza agglomerante delle esperienze che costellano la nostra esistenza quotidiana, senza la quale la frammentazione d’esse non aiuterebbe a dare conto dei momenti che viviamo e meno che mai dei “viaggi mentali” nel tempo che è necessario ricostruire con la mente per arricchire il sapere esperienziale. “L’evoluzione culturale, una modalità di adattamento non biologica, agisce in parallelo con l’evoluzione biologica come mezzo per trasmettere la conoscenza del passato e i comportamenti adattivi attraverso le generazioni. Tutti i conseguimenti dell’umanità, dall’antichità fino ad oggi, sono i prodotti di una memoria condivisa, accumulata nel corso dei secoli per il tramite sia di registrazioni scritte sia di una tradizione orale salvaguardata con cura: Come la memoria condivisa arricchisce le nostre vite a livello individuale, così la perdita di memoria distrugge il nostro senso del sé. Recide la connessione con il passato e con le altre persone, e può manifestarsi durante lo sviluppo infantile oppure colpire un adulto in età matura”.[5]












In una condizione come questa, inaugurata dalla stretta relazione tra il cervello e la mente, diviene indispensabile conoscere come la mente funziona, perché così si conoscono anche le strategie alle quali fa ricorso il cervello. Sono strategie, però, che esigono l’ascolto, cioè esigono vedere e interpretare quello che i segnali elettrici che sono alla base della vita mentale dicono. Difatti i segnali della mente sono segnali elettrici ossia i mezzi attraverso i quali le cellule nervose, che sono le unità fondamentali del cervello, comunicano anche a grande distanza. Kandel riferisce di avere osservato queste forme di comunicazione nel laboratorio di Grundfest, tanto che le cellule nervose e le cellule muscolari generano un flusso di corrente elettrica che ogni tanto anche il nostro corpo percepisce con forme di formicolio. Si tratta pur sempre di messaggi che servono a “portare informazioni sensoriali relative al mondo esterno nel midollo spinale e nel cervello e per trasmettere comandi di azioni dal cervello e dal midollo spinale ai muscoli”.[6]
Queste complesse azioni danno ragione via via delle scoperte selezionate dai neuro scienziati quando pongono, anche mediante i neuroni specchio, alla base del movimento il funzionamento del cervello. Non è certamente la prima volta che abbiamo a che fare con questi meccanismi affidandomi agli studi del Nobel Kandel, perché il fascino che è capace di emanare questa materia è straordinario, come straordinario è pensare di spiegarsi processi di conoscenza e di apprendimento.












Dal fascino, dunque, alla scommessa. E’ vero che le scoperte che ogni giorno vengono compiute da equipe di ricercatori aiutano a comprendere le ragioni di certi meccanismi comportamentali, ma è anche vero che i margini di approssimazione con i quali certe conquiste vanno accreditate spingono a scommettere sul futuro che non è affatto lineare, ma procede, come ha ricordato Popper, per confutazioni e prove, tanto che “la forza più grande del metodo scientifico è la sua capacità di confutare un’ipotesi”.[7] E questo, ricorda Kandel, quando la disperazione del grande Eccles aveva raggiunto l’apice davanti agli insuccessi nel laboratorio della teoria elettrica della trasmissione sinaptica. Confessa Eccles: “Ho imparato da Popper ciò che per me è l’essenza dell’indagine scientifica: come essere speculativi e ricchi di immaginazione nel creare ipotesi, e poi sfidarle con il massimo del rigore, sia utilizzando tutta la conoscenza disponibile  sia allestendo la più minuziosa offensiva sperimentale. Di fatto ho appreso da lui anche a rallegrarsi  per la confutazione di un’ipotesi  tanto amata, perché anche questa è una conquista scientifica e perché molto è stato imparato per mezzo di quella confutazione”.
Di qui bisogna tornare all’idea della scommessa, che potrà essere vincente qualora la serietà del lavoro, l’impegno profuso e la documentazione raccolta confermeranno le ipotesi, elaborate sul piano sperimentale. Se il tema è molto complesso, il gioco diventa sempre più affascinante e ricco di prospettive.













  L’amore e la vita emozionale
             
L’amore nella relazione, soprattutto a due, è il cemento che unisce, ma va anche segnalata la precarietà del legame matrimoniale, quando soprattutto l’eros è dormiente, e la vita di coppia è destinata a sfilacciarsi[8]. Se l’amore pervade il campo della neurobiologia, attesa una spiegazione sicura da parte della biologia della mente, certamente esso trascina con sé il sesso, perché l’uno non può essere disgiunto dall’altro se, peraltro, coinvolgono entrambi il cervello. Oggi si può affermare con certezza che se “i tre sistemi principali dell’amore che sono l’attaccamento, la cura e la sessualità funzionano, allora il legame tra due persone è tenero, rilassante e sensuale per una intesa feconda e appagante. Nei due partner il cervello, si sa, funziona e attiva i circuiti della dopamina che assicura ad entrambi il piacere. Perché questo abbia luogo si comincia dagli sguardi, ma è soprattutto la conversazione che permette una conoscenza più approfondita e quindi garantisce un maggiore attaccamento, e una più forte sintonia, che si traducono in sguardi teneri, in coccole e carezze, accompagnate spesso da parole dolci, a seconda ovviamente dei soggetti”.[9]












L’amore è divenuto argomento privilegiato nella ricerca sulla frontiera neuro didattica. Ce ne siamo interessati in epoca non sospetta, quando il discorso poteva suscitare non dico ilarità, ma certo una pruriginosa attenzione[10]; abbiamo ripreso il tema in uno dei lavori più recenti[11] segnalandolo come il più importante, condividendo il punto di vista di R. Davidson per il quale tutte le emozioni sono sociali e da esse scaturiscono l’intelligenza sociale, l’empatia primaria, la sintonia, l’attenzione empatica e la cognizione sociale ma anche le abilità sociali come la sincronia, la presentazione di sé, l’influenza e la sollecitudine. Oggi si può condividere l’affermazione di J. Rifkin, secondo il quale la Civiltà dell’empatia potrà con l’acquisizione di una “coscienza biosferica ed un’empatia globale” evitare il collasso globale del nostro mondo.
E l’empatia è alla base dell’amore. Quando si parla di amore romantico con J. Panksepp avvertiamo che nell’innamoramento due persone diventano dipendenti l’uno dall’altra, come avviene in un sistema oppioide che circola per i circuiti della corteccia orbi frontale e nella corteccia cingolata anteriore. Fortuna vuole che la produzione di ossitocina induce serenità e tranquillità in entrambi. S’è detto dell’importanza dell’attaccamento, uno stile che accompagna i comportamenti degli innamorati, finché dura l’amore. Ma anche questo stile si differenzia che è ciò che dà conto delle inevitabili crisi.  Difatti si registra uno stile ansioso, uno evitante, uno sicuro. Nulla da dire sul terzo, ma il primo e il secondo determinano comportamenti non continuativi nella relazione. Di solito quello evitante gioisce quando riesce a riservarsi uno spazio proprio, senza l’altro. L’ansioso è invece perennemente sospetto, timoroso, incerto. Questi stili compaiono già nell’infanzia e sono destinati a influenzare la vita dell’uomo e in particolare la sessualità della persona. Tanto è vero che parecchi problemi vengono risolti in sede analitica dal terapeuta quando vengono a galla e si dichiarano in tutta la loro portata”.












Ogni giorno che passa il materiale conoscitivo sulla natura, la struttura e il funzionamento del cervello si arricchisce di scoperte. La struttura cerebrale degli omosessuali, a sentire, Ivanka Savic, del Karolinska Institut di Stoccolma è più simmetrica dei maschi eterosessuali. Il problema, come avverte E. Boncinelli, è tuttavia quello di considerare se si tratta di una questione puramente biologica o se non sia il prodotto di un condizionamento ambientale e di uno stile di vita. La rilevazione, comunque, della simmetria del cervello è stata compiuta attraverso l’uso delle tecnologie ormai familiari tra i neuro scienziati come la risonanza magnetica che fotografa con precisione un organo, nel caso specifico il nostro cervello, e la tomografia a emissione di positroni che ne vede come esso funziona.
L’applicazione di queste tecnologie su un soggetto innamorato è capace di produrre effetti oggettivi, riscontrabili sia quando tutto funziona sia quando l’amore cessa e viene sostituito, nella più parte dei casi, dall’odio che alberga, anch’esso nella massa cerebrale, ma che l’amore può sconfiggere.
Quanto più, tuttavia, si va ad investigare la natura del cervello, tanto più viene da domandarsi qual è la ragione per cui certe volte le persone rimangono sorde a certi richiami, quando tutto trama perché esse siano felici. Forse la felicità non appartiene all’amore romantico. Chiede ben altra comprensiva e totalizzante visione della personalità dell’altro partner.











   Conclusione

Tanto basta per dare la percezione esatta del gioco dell’amore, delle emozioni,   insomma dei meccanismi cerebrali nei comportamenti individuali che sono determinati dal funzionamento del cervello. Gli sviluppi di questo discorso, peraltro, rinviano ai lavori indicati nelle note a piè di pagina e, soprattutto, ai volumi richiamati nel testo.

[1] Cfr. L. Rosati, La fine di un’illusione, Morlacchi, Perugia 2007
[2] Cfr. E. Kandel, Alla ricerca della memoria, Codice Edizioni, Torino 2007, p. 38
[3] Ibidem, p.10
[4] Cfr. E. Kandel, Alla ricerca della memoria, op.cit., p.9
[5] Ibidem, pp.11/12
[6] Cfr. E. Kandel, Alla ricerca della memoria, op. cit., p.68
[7] Ibidem, p. 88
[8] L. Rosati, La sfida del cambiamento, Morlacchi, Perugia 2007
[9] Ibidem, p.74
[10] Cfr. L. Rosati, et Alii, Umanità e amore, Anicia, Roma 2001
[11] L.Rosati, La fine di un’illusione, op. cit.,


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