venerdì 24 giugno 2016

Neuroscienze, il lato cognitivo della corteccia motoria

Neuroscienze: il lato cognitivo della corteccia motoria

E’ una regione del cervello che governa il movimento, ma non solo. Inaspettatamente si attiva anche durante lo svolgimento di alcuni compiti cognitivi. Lo studio dell’IRCCS Medea appena pubblicato su Frontiers in Human Neuroscience
neuroscienze

L’area cerebrale che si attiva quando compiamo un movimento si attiva anche quando eseguiamo compiti cognitivi, come ricordare una sequenza di numeri o parole, ascoltare una melodia, immaginare come possa apparire un oggetto da un altro punto di vista o addirittura provare empatia quando vediamo un'altra persona soffrire.

Lo dice un gruppo di ricerca dell’IRCCS Medea – La Nostra Famiglia di San Vito al Tagliamento, che ha esaminato i dati in letteratura su studi di neuroimaging, cioè quei lavori che indagavano quali aree cerebrali venivano attivate in soggetti impegnati in un determinato compito: in particolare sono stati presi in esame gli studi sulla corteccia motoria primaria, una regione del lobo frontale tradizionalmente pensata come l’area che governa il movimento.

Il lavoro, appena pubblicato sulla rivista Frontiers in Human Neuroscience, modifica il ruolo di quest’area del cervello, conferendole anche una possibile dimensione cognitiva.

I ricercatori hanno eseguito uno studio di meta-analisi quantitativa combinata con l'uso di mappe dell’architettura cellulare della corteccia motoria, per verificare che effettivamente le attivazioni corticali durante compiti cognitivi avvenissero all’interno dell’area indagata e non in quelle limitrofe.

In totale sono stati analizzati dati provenienti da 126 esperimenti, 1.818 soggetti e 2.030 coordinate di attivazione cerebrale.

Ebbene, gli studi di neuroimaging indagati hanno riportato attivazione funzionale nella corteccia motoria durante sei diverse categorie di compiti cognitivi: l’immaginazione motoria, la memoria di lavoro, la rotazione mentale, l’elaborazione sociale, la lingua e l'elaborazione uditiva.

L'analisi ha evidenziato che le diverse categorie cognitive attivano in maniera consistente diversi settori dell'area motoria e ha valutato anche l’ampiezza e la localizzazione del tessuto cerebrale dedicato.

Compiti di elaborazione sociale, emozioni, empatia attivano l'area 4a dell'emisfero sinistro, compiti linguistici (elaborazione verbi di azione) attivano le aree 4a e 4p di entrambi gli emisferi cerebrali, la rotazione mentale attiva l'area 4a sinistra, la working memory attiva l'area 4a destra, la simulazione mentale dei movimenti attiva entrambe le aree 4a e 4p di sinistra, e l'elaborazione uditiva attiva l'area 4a di sinistra.

Risulta inoltre un’area comune (area 4a sinistra) che è impegnata durante lo svolgimento di compiti appartenenti a molte (4/6) delle categorie cognitive testate: quest'area corrisponde alla rappresentazione nella corteccia motoria della mano. Credit Le Scienze 22 giugno 2016

venerdì 3 giugno 2016

Alla scoperta dei geni dell'autism

Alla scoperta dei geni dell'autismo (e non solo)

Gaia Novarino studia le basi genetiche e molecolari dei disturbi neurologici dello sviluppo e per questo ha ricevuto un prestigioso riconoscimento internazionale. Ecco cosa racconta la biologa della sua ricerca su autismo, ritardo mentale ed epilessia in questa intervista a "Le Scienze"

Autismo, ritardo mentale, epilessia: sono i disturbi neurologici dello sviluppo di cui più si occupa Gaia Novarino, oggi in forze all’Istituto austriaco di scienza e tecnologia di Klosterneuburg, andandone a cercare le basi genetiche e molecolari. Sua, per esempio, la recente scoperta del coinvolgimento di un gene, SETD5, in una certa parte di casi di ritardo mentale. Proprio per queste ricerche, giudicate «eccezionali e innovative», a Novarino è stato conferito il Boehringer Ingelheim FENS Research Award, uno dei più prestigiosi riconoscimenti europei per giovani neuroscienziati. La consegna ufficiale avverrà a luglio, durante il Forum biennale della Federazione delle società europee di neuroscienze (FENS).

Partiamo dal premio: che cosa significa per lei?

Non me lo aspettavo ed è stata una bella sorpresa. Sapere che la propria ricerca ha un impatto riconosciuto con un premio aiuta a compensare le inevitabili frustrazioni quotidiane del lavoro. Non solo: visto che sono arrivata in Austria dopo alcuni anni negli Stati Uniti, questo riconoscimento è un’occasione per riavvicinarmi alla comunità scientifica europea e portare alla sua attenzione un tema, quello delle basi genetiche di disturbi come l’autismo, che è ai primi posti nell’agenda della ricerca statunitense, ma è un po’ più trascurato da noi.

Oltre che di autismo, lei si occupa anche di ritardo mentale ed epilessia: perché proprio queste tre condizioni?

Perché sono spesso sovrapposte. Circa un quarto dei bambini con autismo prima o poi sviluppa epilessia e la metà presenta ritardo mentale. D’altra parte, molti bambini con epilessia hanno anche autismo e ritardo cognitivo. L’ipotesi è che alla base di questi disturbi, che insorgono come conseguenza di anomalie nello sviluppo del sistema
nervoso, ci siano meccanismi genetici comuni. Ovviamente parliamo di una genetica complessa, perché le forme possibili sono tantissime: da quelle monogeniche, in cui il disturbo dipende da mutazioni in un singolo gene, a quelle dovute a riarrangiamenti cromosomici più massicci. E ancora, ci sono forme che dipendono dalla combinazione casuale e rara di variazioni genetiche comuni nella popolazione e altre che sono frutto di un’interazione tra una particolare suscettibilità genetica e uno stimolo ambientale, come potrebbe essere un’infezione virale.

Su quali forme si concentra il suo gruppo?

Siamo partiti da quelle monogeniche, tutto sommato le più semplici da studiare anche se sono caratterizzate da grande eterogeneità, cioè dal fatto che possono essere coinvolti moltissimi geni differenti. Significa che, presi 1000 pazienti, c’è un’altissima probabilità che ognuno abbia una mutazione in un gene diverso: in altre parole ancora, la manifestazione clinica può essere la stessa, ma il difetto genetico alla base varia da paziente a paziente. In questo senso ci ha stupito positivamente la scoperta che il gene SETD5 risulta mutato nell’uno per cento circa dei pazienti con ritardo mentale: una percentuale che in questo contesto è molto alta. Ora stiamo anche cercando di capire che cosa faccia questo gene: l’ipotesi è che si tratti di un regolatore della trascrizione, capace di orchestrare a cascata l’attività di tanti altri geni. Forse per questo la sua mutazione ha effetti tanto devastanti. Un’altra possibilità è che la sua alterazione renda il cervello meno «plastico» e dinamico, meno pronto a reagire ai segnali esterni che si modificano di continuo durante lo sviluppo.

Quali metodi usate per queste indagini?

I più diversi. Sul fronte molecolare sono una grande fan delle nuove tecniche di editing genetico, utilissime per studiare le funzioni dei geni. Ma facciamo anche analisi istologiche sui cosiddetti minibrain, minicervelli sviluppati a partire da cellule staminali, ed esperimenti di elettrofisiologia o di comportamento su modelli animali, in particolare il topo.

Alla scoperta dei geni dell'autismo (e non solo)
Minicervelli ricavati da cellule staminali, utili per lo studio delle cause biologiche di disturbi neurologici (Cortesia Novarino)


Lo studio delle basi genetiche dei disturbi neurologici dello sviluppo è recente ma in rapida espansione. Perché è considerato tanto importante?

C’è una prima ragione profondamente umana: perché per i genitori dei bambini colpiti da questi disturbi è fondamentale capirne le cause. Sapere che cosa ha portato alla malattia è spesso un passo importante per l’accettazione. Poi ci sono le ragioni scientifiche. Sappiamo ancora assai poco riguardo al funzionamento del cervello umano e studiare i geni alla base di queste malattie permette di scoprire nuovi dettagli. Oltre che di identificare eventuali vie biologiche comuni a diverse malattie o a diverse forme della stessa malattia.

Ci può spiegare meglio?

Supponiamo di scoprire che un certo gene è coinvolto nell’insorgenza di un ritardo mentale: capire che cosa fa quel gene nella cellula significa identificare una via biologica che potrebbe avere a che fare anche in altri punti (cioè con altri geni) con il ritardo mentale. Questo da un lato aiuta a indirizzare meglio le ricerche quando ci si trova di fronte a un nuovo paziente, dall’altro riduce l’ambito di lavoro rispetto alle possibili terapie. Per esempio: si stima che nelle forme genetiche di autismo siano coinvolti 500-1000 geni, ma può darsi che tutti questi facciano capo a un numero molto inferiore di vie biologiche, poniamo una cinquantina. È ben diverso cercare di mettere a punto 500 o 1000 terapie differenti o solo 50.

A proposito di terapie, questo tipo di studi può portare anche a ricadute concrete?

Certo, è quello che è successo con una scoperta di qualche anno fa, quando ancora lavoravo a San Diego. Con il mio gruppo di allora, avevamo identificato un gene responsabile di una rara forma di autismo associato a epilessia e coinvolto nel metabolismo di particolari amminoacidi. Abbiamo anche scoperto che, almeno in modelli animali, la somministrazione di quegli amminoacidi è in grado di prevenire l’insorgenza del disturbo o di trattarlo se già presente. Ora sono in corso ulteriori sperimentazioni.

Tornando al contesto delle neuroscienze europee: che cosa pensa dello Human Bran Project, il progetto finanziato dalla Commissione Europea che punta alla simulazione al computer di tutte le attività del cervello umano?

Sono molto critica e infatti sono stata tra coloro che nel 2014 hanno firmato una lettera con la richiesta alla Commissione di rivedere il finanziamento del progetto. Credo che i tempi non siano ancora maturi per una modellizzazione completa del cervello umano, e che gli stessi fondi si potrebbero impiegare in modo più proficuo in lavori sperimentali, in grado di produrre dati concreti.

(L'originale di questo articolo è stato pubblicato su"Le Scienze" n.569, gennaio 2016)
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CHI E'
Gaia Novarino, 39 anni, si è laureata in biologia alla «La Sapienza» Università di Roma. Già durante il dottorato, conseguito sempre a Roma, si è spostata all’estero, dove ha svolto tutta la sua carriera, in particolare al Max Delbruck Center for Molecular Medicine di Berlino e all’Università della California a San Diego. Dal 2014 dirige un gruppo di ricerca all’Istituto austriaco di scienza e tecnologia di Klosterneuburg, dove insegna neurogenetica e biologia dei disturbi neurologici. Ha all’attivo numerose pubblicazioni scientifiche, tra le quali tre come primo autore sulla rivista «Science». Oltre al premio Boehringer Ingelheim FENS, ha ricevuto nel 2012 e nel 2014 due premi del CURE, Citizen United for Research in Epilepsy, agenzia non governativa statunitense che si occupa di ricerca sull’epilessia.


Autismo: le differenze tra ragazze e ragazzi

Autismo: le differenze tra ragazze e ragazzi

Ci sono delle vere e proprie differenze biologiche nel cervello di ragazzi e ragazze affetti dai disturbi dello spettro autistico. Lo dimostra una ricerca, condotta dall’Uc Davis Mind Institute e pubblicata su Molecular Autism, che ha analizzato quali sono le differenze a livello cerebrale tra bambini e bambine con autismo rispetto ai loro coetani non autistici.

I Disturbi dello spettro autistico (Dsa) sono disturbi dello sviluppo a livello neurologico che colpiscono più frequentemente i ragazzi rispetto alle ragazze, in un rapporto di 4 a 1. In generale si stima che circa 1 su 42 ragazzi e 1 su 189 ragazze sia autistico, mentre l’incidenza complessiva varia invece da 1 su 68 bambini a 1 su 150.

Nel tentativo di far luce sulle caratteristiche di questa patologia e sulle differenze tra ragazzi e ragazze affetti da autismo e non, i ricercatori hanno analizzato con risonanza magnetica la struttura del cervello di bambini di età compresa tra i 3 e i 5 anni (112 maschi e 27 femmine) con autismo, e 53 bambini e 29 bambine non affetti da Dsa. “È importante”, ha commentato in proposito Christine Wu Nordahl della University of California di Davis, tra gli autori del paper: “identificare le differenze nella biologia di base tra ragazzi e ragazze, perché ciò potrebbe aiutarci a determinare se ci sono differenze eziologiche di autismo, che potenzialmente potrebbe portarci a diversi trattamenti e interventi”.

Analizzando i risultati, gli scienziati hanno osservato che nei bambini affetti da Dsa, relativamente ai controlli, le regioni che proiettano alla corteccia frontale superiore erano più piccole. Un altro pezzo in più nel puzzle che cerca di mettere insieme le differenze nel cervello delle persone autistiche. Inoltre, i ricercatori hanno anche osservato differenze nella regione del corpo calloso, la regione del cervello che collega gli emisferi destro e sinistro, tra bambini e bambine autistici. “Abbiamo scoperto che l’organizzazione delle fibre callose era differente in maschi e femmine con autismo, in particolare quelli proiettare nei lobi frontali,” ha spiegato Nordahl, precisando come i lobi frontali svolgano un ruolo fondamentale nel comportamento sociale e nelle funzioni esecutive: “Le differenze nei pattern di organizzazione delle fibre callose possono portare a differenze nel modo in cui l‘autismo si manifesta nei ragazzi e nelle ragazze”.

In una ricerca parallela presentata all’Imfar (International Meeting for Autism Research), Nordahl ha analizzato anche le differenze comportamentali tra bambini e bambine con autismo e non. Gli scienziati hanno così scoperto che le differenze osservate tra ragazze con o senza Dsa sono generalmente maggiori di quelle che si riscontrano tra ragazzi autistici e non. “In altre parole, le ragazze con autismo si discostano di più dallo sviluppo tipico delle ragazze che i ragazzi con autismo rispetto ai loro coetanei, il che suggerisce che le ragazze con autismo abbiano difficoltà sociali più serie rispetto ai ragazzi”.

Quanto scoperto, conclude Nordahl, ha bisogno però di essere confermato da ulteriori studi sulle differenze neurobiologiche, comportamentali e di genere tra soggetti autistici e non, magari aumentando il numero di ragazze incluse negli studi.

Riferimenti: Molecular autism Doi:10.1186/s13229-015-0005-4

Credits immagine: Ciprian Silviu Ionescu/Flickr CC