mercoledì 28 maggio 2014

Affettività e attaccamento








La conoscenza della teoria dell’attaccamento e degli stili di attaccamento del bambino è necessaria all’educatore per la realizzazione di un percorso individualizzato



Alla luce di questa teoria elaborata da John Bowlby (1989), si cercherà di considerare come il bambino attraverso la costruzione e sviluppo del primo legame emotivo con la madre, o un suo sostituto, possa sviluppare i suoi rapporti sociali, integrandosi in ambienti diversi da quello più familiare come la propria abitazione

Infatti, la figura di riferimento oggetto dell’attaccamento, costituendo l’altro elemento della diade, funziona per il bambino come base sicura e pertanto gli consente di riferirsi a lei quando vuole esplorare il mondo oppure quando è preoccupato di fronte ad una situazione insolita













































































































































lunedì 26 maggio 2014

L’attaccamento affettivo



L’attaccamento affettivo



Durante la prima metà del 20esimo secolo molti psicologi credevano che mostrare affetto ad un neonato fosse un'abitudine gestuale che non aveva un reale scopo.



Il comportamentista John B.Watson ammonì a questo proposito: "ricordate, quando siete tentati di coccolare il vostro piccolo, che l'amore di mamma è uno strumento pericoloso". Secondo molti studiosi dell'epoca, l'affetto poteva solo sviluppare disagi e portare a problemi psicologici in età adulta.
Uno psicologo americano chiamato Harry Harlow, tuttavia, si interessò a questo argomento e si adoperò per dimostrare gli effetti positivi di un fattore difficile da quantificare e misurare: L'Amore.
In una serie di esperimenti controversi, condotti negli anni '60, Harlow ottenne il suo obiettivo mostrando i disastrosi effetti della deprivazione affettiva sui macachi, e rivelò l'importanza dell'amore di una mamma nel sano sviluppo di un figlio.












L’amore materno è importante per lo sviluppo e  la sopravvivenza di un infante.
Si trattò di esperimenti crudeli e dal dubbio valore etico, che tuttavia fornirono spunti importanti.
Harlow era un docente presso l’Università del Wisconsin, ed intuì che il legame madre-figlio andava aldilà del semplice bisogno nutrizionale istituendo di fatto l’affetto come bisogno primario.
Iniziò col prendere dei cuccioli di macaco e separarli dalla madre, chiudendoli in piccole celle buie (denominate pits of dispair, “pozzi della disperazione”) per periodi di tempo prolungati, anche per parecchi mesi.












Naturalmente non reagirono bene: depressione, aggressività e turbamenti comportamentali caratterizzarono lo sviluppo dei cuccioli, ma non solo … Egli notò che staccavano i tappetini dal fondo delle gabbie per abbracciarli sviluppando di fatto un attaccamento, allora ritenuto insensato, per una figura che potremmo denominare “madre surrogata”.












Sarà più importante lo stimolo della fame o quello dell’attaccamento materno?
Dal 1957 al ’63 si susseguirono una serie di esperimenti nei quali divise dalle madri naturali le scimmiette appena nate dotandole di differenti tipi di madri surrogate. In particolare due: la prima denominata “madre di pezza”, era soffice e riscaldata ma senza latte e la seconda, denominata “madre di ferro”, era formata da fili d’accaio ed assolutamente inadatta a dare alcun tipo di “calore” ma possedeva un biberon contenente l’alimento liquido.












Bene, le scimmiette rimanevano tutto il tempo abbracciando la “madre di pezza”, quando avevano fame correvano dalla “madre di ferro”, si nutrivano per pochi secondi e tornavano subito dalla “soffice scultura” .
Egli aveva dimostrato come il bisogno affettivo fosse più importante di quello nutrizionale, ma i disturbi comportamentali proseguivano mostrando comportamenti antisociali, si nascondevano rannicchiate in un angolo e venivano evitate e escluse dalle altre scimmie. Quelle allevate dalla sola “madre di ferro” invece presentavano gravi squilibri mentali che le portavano anche a tentare il suicidio in presenza di altri esemplari.













Il Doc Harlow decise di continuare gli esperimenti per capire scientificamente quali caratteristiche dovesse avere una madre.
Costruì altre madri-surrogato utilizzando diversi materiali, cambiandone quindi la consistenza, notando che più la madre era soffice più veniva apprezzata. Successivamente provò a far passare dell’acqua fredda tramite una serpentina inserita all’interno della “madre preferita” ed i cuccioli iniziarono ad evitarla come se fosse morta.
Ma se fosse stata semovente? Appese dei morbidi sacchi a circa un metro da terra e … SORPRESA: le adoravano!
Per cui arrivò a capire che una mamma dev’essere soffice, calda e non statica.












Ecco che volle quantificare quanto fosse importante la presenza di una madre, costruendo delle vere e proprie torture:
“Madri di pezza” dotate di congegni a molla che scattavano quando il cucciolo le abbracciava, scaraventandolo letteralmente a metri di distanza, altre che lanciavano getti d’aria compressa ed infine costruì anche madri stile “Vergine di Norimberga”, con spuntoni che uscivano dal corpo che trafiggevano il malcapitato ad ogni tentativo di ricevere quel po’ di calore materno, spuntando al momento opportuno.












Nessun cucciolo demorse dal provare ad abbracciarle, ripetendo la stessa scena periodicamente. Dolore, spavento ed umiliazione erano meno forti del bisogno di ricevere calore materno.
Naturalmente l’esperimento aveva oltrepassato ogni limite etico e morale, e questo ebbe un effetto sulla “sensibilità popolare”, al punto che il dottor Harry Harlow cercò di “risollevare” la propria reputazione interrompendolo e tentando di riabilitare le scimmiette (senza successo) ma non servì a nulla. Fu etichettato come scienziato sadico, continuando a ricevere feroci critiche dai colleghi e dalla carta stampata.












L'impatto della ricerca di Harlow

   Gli esperimenti di Harlow offrirono, però, la prova inconfutabile che l'Amore è vitale per lo sviluppo di un piccolo: successive prove mostrarono gli effetti a lungo termine della deprivazione affettiva, che portava a stress psicologici ed emozionali, e talvolta alla morte dei soggetti.
   Le scoperte dei ricercatori aiutarono lo sviluppo di approcci totalmente diversi nei servizi sociali e nelle agenzie di adozione.
   Per ironia della sorte fu proprio la vita di Harlow a mostrare i guai peggiori: dopo una malattia grave di sua moglie, lo studioso divenne vittima di alcolismo e depressione. Fu descritto dai suoi colleghi come un misantropo sciovinista e crudele: triste destino per colui che ha dimostrato l'importanza dell'amore!



giovedì 22 maggio 2014

Campi di applicazione della musicoterapia 2° Parte



Campi di applicazione della musicoterapia
2° Parte



Sono due i principali campi di intervento della musicoterapia nel nostro Paese. Il primo campo è quello psico-pedagogico, mentre il secondo è quello clinico-psichiatrico.









Relativamente al primo campo di indirizzo, la musicoterapia viene utilizzata generalmente in ambito scolastico congiuntamente agli interventi di prevenzione dei problemi di apprendimento, di riduzione degli abbandoni scolastici e di miglioramento formativo. La musicoterapia viene quindi collocata fra le cosiddette attività di sostegno, attività previste da una circolare del Ministero della Pubblica Istruzione risalente al 1994.










In ambito clinico-psichiatrico la musicoterapia viene utilizzata in ospedali, in centri assistenziali e riabilitativi e in case di cura.
Prendendo in considerazione entrambi i campi di intervento, la musicoterapia viene utilizzata in caso di disturbi emotivi (stati ansiosi, stati depressivi, attacchi di panico, disturbi del sonno ecc.); disturbi di tipo relazionale sia del bambino che della persona adulta; disturbi di tipo mentale (nevrosi, psicosi, anoressia ecc.); handicap psichici, fisici e sensoriali; disturbi del linguaggio, deficit uditivi, esiti di coma, malattie di tipo neurologico (morbo di Parkinson, ictus ecc.); patologie senili (disturbi relazionali, demenza senile, morbo di Alzheimer ecc.).










Gli obiettivi che, in linea generale, ci si pongono con le sedute di musicoterapia sono diversi; fra questi ricordiamo in primis il riuscire ad aprire canali di comunicazione sia intrapsichici che extrapsichici, riuscire a dominare le paure e migliorare la capacità di dominare impulsi irrazionali; dominare gli stimoli ansiosi, favorire l’espressione dei sentimenti e la creatività, migliorare la socializzazione e l’interazione con le altre persone, migliorare lo sviluppo dell’espressione corporea, stimolare i ricordi e le funzioni cognitive, le capacità sensoriali e quelle intellettive, migliorare lo sviluppo psico-motorio ecc.










Le sedute di musicoterapia
L’intervento di musicoterapia prevede il passaggio attraverso diverse fasi: analisi del caso in questione, raccolta dei dati anamnestici, approfondimento diagnostico, compilazione dell’anamnesi sonoro-musicale, elaborazione di un dettagliato progetto di intervento musicoterapico, verifica periodica degli eventuali risultati ottenuti da farsi attraverso colloqui con i parenti o i responsabili del paziente.










Generalmente le sedute di musicoterapia si svolgono con incontri settimanali la cui frequenza varia a seconda di quelle che sono le esigenze del paziente; tali sedute possono essere individuali o di gruppo e la loro durata è di circa un’ora; in alcune patologie, vedasi per esempio il morbo di Alzheimer, vengono generalmente consigliati tempi di partecipazione decisamente più brevi.










Le sedute di musicoterapia possono essere sedute di musicoterapia ricettiva (anche musicoterapia passiva) oppure sedute di musicoterapia attiva.
La musicoterapia ricettiva si basa sull’ascolto di musica registrata la cui scelta può essere effettuata dal paziente oppure dal musicoterapeuta. Si parla invece di musicoterapia attiva quando la musica viene creata dal paziente stesso attraverso l’utilizzo di strumenti musicali oppure di suoni e rumori da egli emessi.










Le sedute di musicoterapia di gruppo hanno lo scopo di permettere al soggetto di rapportarsi con gli altri allo scopo di far uscire ed evidenziare quelle che sono le reazioni e le difficoltà di tipo individuale, confrontarsi con il prossimo ed essere stimolato ad avere una maggiore coscienza di sé. Il fatto di trovarsi in gruppo spinge il soggetto a mettersi in gioco migliorando la propria espressione individuale.









Gli strumenti che vengono utilizzati per le sedute di musicoterapia vengono classificati come strumenti fetali (sonaglio, campana con battaglio, maracas ecc.), strumenti materni – o vaginali – (chitarra, cembalo, tamburo, timpani, xilofono ecc.), strumenti paterni – o fallici – (bacchette, clarinetto, flauto, oboe, trombetta ecc.), strumenti ermafroditi (cuica, caccavella spagnola ecc.).










Gli strumenti per la musicoterapia devono essere strumenti facili da manipolare, facilmente trasportabili ed essere dotati di una certa potenza sonora; devono inoltre facilitare comportamenti estroversi piuttosto che introversi e dare la possibilità di creare strutture ritmiche e melodiche di facile comprensione.
Di fatto, durante una seduta di musicoterapia le possibilità sono molteplici; è infatti possibile improvvisare, eseguire, comporre o ascoltare una determinata musica.










Negli incontri di musicoterapia dove si improvvisa, il soggetto è libero di improvvisare musicalmente come desidera oppure di basarsi su schemi proposti dal terapeuta. Molte volte in questi incontri viene chiesto al soggetto di improvvisare della musica traendo ispirazione dalle emozioni che prova in quel momento o di provare a ricreare, mettendolo sotto forma di suono, un sentimento o un avvenimento che lo ha colpito.










Nelle sedute di musicoterapia durante le quali viene riprodotta della musica, il soggetto può essere invitato a cantare o a eseguire musica composta da altri; ciò può servire a imparare a cantare o a suonare oppure a lavorare sull’interpretazione di un pezzo musicale ecc.










Nelle sedute di musicoterapia dedicate alla composizione, il soggetto viene aiutato a scrivere musica, intendendo con questa espressione lo scrivere o il testo o la parte prettamente strumentale; generalmente al soggetto viene lasciata la parte più “semplice” del processo musicale (scrivere il testo o comporre una melodia), mentre il terapeuta si assume l’onere degli aspetti più complessi della composizione (per esempio l’armonizzazione o la notazione musicale).










Nelle sedute di musicoterapia che prevedono l’ascolto di musica, il soggetto ascolta dei brani musicali che possono essere riprodotti da impianti appositi oppure eseguiti dal vivo da altre persone. Durante queste sedute il paziente può svolgere diverse attività (movimento strutturato o libero, pittura, lettura ecc.) oppure dedicarsi al rilassamento, alla meditazione o al riposo.
Le sedute di musicoterapia possono essere implementate dal terapeuta coinvolgendo il paziente (o i pazienti in caso di sedute di gruppo) in discussioni di tipo verbale relative alla musica. Nelle sedute di musicoterapia dedicate ai bambini vi è spesso spazio per giochi o altre attività che prevedono comunque l’approccio musicale.











Gli studi compiuti su esperienze di musicoterapia sono numerosi e molti di essi hanno dato riscontri positivi, ma è corretto anche precisare che si tratta di studi che sono stati effettuati su gruppi molto ristretti di pazienti ed è quindi necessario attendere ulteriori conferme sulla validità terapeutica della musicoterapia.