domenica 11 settembre 2016

DISLESSIA E COMUNICAZIONE CEREBRALE

Una scarsa comunicazione cerebrale all'origine della dislessia


Una scarsa comunicazione tra diverse are cerebrali deputate all'elaborazione del linguaggio sarebbe all'origine della dislessia. Lo afferma un nuovo studio basato su una serie di test linguistici su comprensione e ripetizione di fonemi, che smentisce l'ipotesi che il disturbo sia causato da una incapacità di sviluppare precise rappresentazioni delle unità fonetiche elementari tipiche di una lingua.

Le persone affette da dislessia, che rappresentano circa il 10 per cento della popolazione, hanno difficoltà di lettura, di elaborazione del linguaggio parlato e in definitiva di apprendimento, ma l'origine del disturbo non è nella difficoltà a codificare le informazioni fonetiche quanto piuttosto nel recuperarle una volta memorizzate. È questa la conclusione di uno studio pubblicato su “Science” a firma di Bart Boets dell’Università cattolica di Leuven, in Belgio.

Durante il processo di acquisizione di una nuova lingua ogni individuo deve imparare anzitutto l’insieme delle unità basilari di suono che essa utilizza, denominati fonemi. Il passo successivo consiste nell’imparare a raggruppare tutti i diversi modi in cui un dato fonema può essere pronunciato, distinguendo tra quelli molto simili, per esempio la “b” o la “d”.

Negli ultimi decenni, vari studi hanno portato a ipotizzare che le persone con dislessia non sviluppassero precise rappresentazioni fonetiche e che quindi non fossero in grado di riconoscere le  distinzioni più fini di una lingua. In questo modello, i dislessici avrebbero in sostanza una rappresentazione distorta dei fonemi, come se avessero appreso le parole da un vocabolario dove alcune macchie rendono indistinta l’ortografia delle parole.

Recentemente, alcuni ricercatori hanno sviluppato un modello diverso della dislessia, in cui le rappresentazioni fonetiche sarebbero intatte. A non funzionare correttamente sarebbe la capacità del cervello di accedere a esse.

Boets e colleghi hanno messo a confronto i due modelli utilizzando una tecnica di risonanza magnetica funzionale (fMRI) per catturare immagini in 3D dell’attività cerebrale di 23 soggetti adulti con dislessia e 22 soggetti del gruppo di controllo
mentre udivano la pronuncia di diversi suoni.

A ciascun partecipante era richiesto di ascoltare alcune parole senza senso, come successioni di sillabe come per esempio “ba-ba-ba-ba” seguite dalle stesse parole modificate in una consonante o in una vocale, come per esempio “da-da-da-da”, e di riferire quale cambiamento avessero percepito. Questo semplice test, secondo gli autori, permette di valutare la correttezza delle rappresentazioni dei fonemi da parte dei soggetti.

Analizzando i risultati, è emerso che l’accuratezza delle risposte dei soggetti dislessici non differiva sostanzialmente da quella dei soggetti normali, e lo stesso accadeva per i segnali neurali rilevati con la fMRI, indicando, secondo i ricercatori, che la loro rappresentazione fonetica è intatta. La caratteristica delle risposte influenzate dalla dislessia è invece la velocità della risposta, ritardata in media del 50 per cento rispetto ai soggetti normali.

Analizzando l’attività complessiva del cervello, gli autori hanno documentato una minore coordinazione del funzionamento di 13 aree cerebrali legate all’elaborazione dei fonemi di base con l’area di Broca, responsabile dell’elaborazione di alto livello del llnguaggio. Un’analisi più raffinata dei segnali rilevati ha mostrato che più era debole il coordinamento delle aree cerebrali, più erano lente le risposte dei soggetti dislessici.

La conclusione di Boets è colleghi è quindi che la dislessia rifletta una scarsa capacità di accedere all’informaizne sui fonemi invece che a una scarsità d’informazioni sui fonemi stessi. Credit Le Scienze

mercoledì 7 settembre 2016

Ippocampo, apprendimento e memoria

Ippocampo,  apprendimento e memoria

L'ippocampo è l'area del cervello che comanda il rilascio di ormoni che ci aiutano ad affrontare lo stress: aumentano il battito cardiaco e favoriscono l'adattamento. Ma l'ippocampo è anche centrale in due funzioni fondamentali del cervello: l'apprendimento e la memoria. Un ippocampo più grande si traduce quindi in migliori prestazioni scolastiche.

L'ippocampo nel cervello dei bambini a cui i genitori dedicano maggiori attenzioni è più grande rispetto a quello dei figli meno seguiti. L'intervista a Anna #Oliverio Ferraris: la primissima infanzia è un'età cruciale, ma il cervello continua a modificarsi fino a 20 anni.

I bimbi in età scolare le cui madri li hanno accuditi con affetto nella primissima infanzia, portano i segni visibili di queste attenzioni nel proprio cervello: il loro ippocampo è più grande rispetto a quello dei coetanei. L'ippocampo è un'area del cervello che ha un ruolo cruciale nella memoria e nell'apprendimento, ma anche nella gestione dello stress.

Che il rapporto con i genitori prime fasi di vita del bambino sia cruciale per uno sviluppo emotivo e cognitivo armonioso già si sapeva. Quello che si è riusciti a fare per la prima volta, in uno studio apparso sull'edizione online di Proceedings of the National Academy of Sciences e condotto da un team di psicologi infantili e neuroscienziati della Washington University School of Medicine di St. Louis , è quantificare il beneficio sul cervello dei piccoli dell'amore e delle cure ricevute.

#Joan Luby , professore di psichiatria infantile, e i coautori della ricerca hanno prima di tutto dovuto distinguere, in maniera sufficientemente oggettiva, i genitori più affettuosi e attenti da quelli che lo erano meno. Lo studio ha preso le mosse una decina di anni fa, quando Luby e colleghi hanno esaminato le interazioni tra bambini di età compresa tra 3 e 6 anni, alcuni dei quali con sintomi di depressione o con altri disturbi mentali, e un genitore, quasi sempre la mamma.

Mentre la mamma doveva eseguire un compito il bambino doveva aspettare. Come premio per l'attesa avrebbe potuto aprire un pacco regalo dall'aspetto attraente. La valutazione su quanto e come il genitore fosse in grado di sostenere e confortare il bambino in questa situazione stressante veniva fatta da un gruppo di osservatori esterni che non conosceva nulla né delle condizioni di salute del bambino né del temperamento del genitore.

Anni dopo 92 di quei bambini, ora di età compresa tra 7 e 10 anni, sono stati sottoposti a una tac cerebrale, che consente di avere un'immagine chiara del cervello e di misurare la grandezza dell'ippocampo. Quello che è emerso è che i bambini che non avevano sofferto di forme depressive e che erano allevati con maggiori attenzioni avevano un ippocampo del 10% più grande rispetto ai figli di madri meno affettuose.

Secondo Luby mentre nei bambini depressi era atteso un risultato del genere, perché il volume dell'ippocampo risulta più piccolo anche negli adulti con depressione, la vera sorpresa è nella differenza riscontrata tra bambini sani e legata esclusivamente alle cure parentali.

Perché questo risultato è così importante?

L'ippocampo è l'area del cervello che comanda il rilascio di ormoni che ci aiutano ad affrontare lo stress: aumentano il battito cardiaco e favoriscono l'adattamento. Ma l'ippocampo è anche centrale in due funzioni fondamentali del cervello: l'apprendimento e la memoria. Un ippocampo più grande si traduce quindi in migliori prestazioni scolastiche.

Cosa deve fare un genitore per assicurare al proprio figlio lo sviluppo migliore?

Come si declina, insomma, questa affettività che sembra essere così importante per lo sviluppo cerebrale del bambino? Risponde Anna Oliverio Ferraris , docente di Psicologia Evolutiva all'Università La Sapienza di Roma.

Ci sono altri studi recenti che dimostrano che i bambini maltrattati hanno un funzionamento cerebrale diverso, che può  avere effetti anche in adolescenza. Mi pare che questa ricerca vada nella stessa direzione. L'età prescolare è cruciale certo, ma non solo nel rapporto del bambino con la mamma, bensì con tutte le persone che stanno intorno al bambino e lo accudiscono: madre, padre, i nonni.

Cosa devono garantirgli queste figure?

Quello di cui un bambino ha bisogno: un clima caldo, affettivo, stimolante, partecipativo, dove il bambino sente che è importante per chi sta intorno a lui. Via via che cresce bisogna rispondere alle sue domande, dargli ascolto. Ma attenzione a evitare l'iperprotezione e, ovviamente, ogni forma di maltrattamento.

La violenza ma anche l'indifferenza?

Esistono forme più o meno gravi di maltrattamento, dirette o indirette. La violenza tra genitori è una forma di maltrattmento indiretta che mette il bambino in uno stato di allerta, lo spinge a non fidarsi degli adulti che lo circondano. Ma anche la trascuratezza è una forma di maltrattamento: abbandonare un bambino tre ore al giorno di fronte al televisore, per esempio. Un bambino ha bisogno di fare esperienze di prima mano, di muoversi, di giocare, il gioco è la sua vita e la sua terapia. La carenza di giochi spontanei e di movimento che caratterizza molti bambini di oggi, che fanno una vita troppo sedentaria, è una forma di trascuratezza dell'intera società.

Altri comportamenti da evitare?

Dobbiamo ricordarci che i bambini non sono adulti in miniatura. Il genitore che non gli parla, che va sempre di fretta e si limita  risolvere i problemi pratici ma non ha momenti per starci insieme, raccontargli delle storie, commette un errore. Quando i bambini sono piccoli bisogna trovare il tempo. Se una madre lavora è bene che ci sia anche un padre accudente, che dedichi del tempo al bambino.

Altre figure, come la baby sitter, non possono avere un ruolo?

Certo, ma siccome la mamma e il papà fanno comunque parte della sua vita, il bambino ha bisogno di sentire la loro attenzione perché lo valorizza e lo fa sentire importante rispetto agli altri. Il bambino sa di esser debole nei confronti della società, ma se è amato si sente forte.

E con i capricci come la mettiamo?

A volte per paura di sembrare indifferenti i genitori rischiano l'opposto: cedere su tutto.
Oltre all'affetto è altettanto importante che ci siano regole e coerenza, ai bambini fa molto bene la routine. Vanno soddisfatti i bisogni fondamentali: affetto, calore, cibo. I desideri possono essere soddisfatti qualche volta o rimandati nel tempo. Il bambino se c'è il clima giusto lo accetta. Magari protesta di fronte a certe regole ma gli dà sicurezza sentire che i genitori sanno cosa è bene per lui e sono coerenti.

Fino a che età le cure dei genitori hanno un effetto diretto sullo sviluppo dei figli?

Il cervello continua a crescere fino a 20 anni, probabilmente un recupero è sempre possibile, perché per tutto questo tempo c'è molta plasticità, il cervello è ancora suscettibile di cambiamenti.


venerdì 2 settembre 2016

CERVELLO E MAPPE FUNZIONALI

Come e dove il cervello categorizza oggetti e azioni

Le mappe funzionali del cervello rispondono a quelle concettuali della didattica! La nostra mente elabora migliaia di concetti, ma solo per alcuni – come le facce e i movimenti del corpo - esiste una specifica area cerebrale dedicata. La rappresentazione di tutti gli altri si estende sull'intera corteccia, con una distribuzione spaziale che riflette la gerarchia di relazioni semantiche che ciascuno di essi intrattiene con concetti affini

Una prima mappa spaziale della rappresentazione semantica di oggetti e azioni sulla superficie del cervello è stata realizzata da un gruppo di ricercatori dell'Università di Berkeley, in California, che spiegano come sono riusciti a ricostruirla in un articolo pubblicato sulla rivista “Neuron”.

Vari studi hanno indicato che alcune categorie di oggetti e di azioni sono rappresentate in specifiche aree cerebrali. Fra questi vi sono per esempio le facce, le parti del corpo e i loro movimenti.

Tuttavia, gli esseri umani percepiscono migliaia di categorie di oggetti e azioni e, "date le dimensioni ridotte del cervello umano - dice Alex Huth primo autore dell'articolo - sembra piuttosto irragionevole aspettarsi che ogni categoria sia rappresentata in una zona del cervello diversa". Un modo efficace, e plausibile, per la rappresentazione cerebrale di categorie di oggetti e di azioni – hanno quindi ipotizzato gli autori - potrebbe essere organizzarle in uno spazio semantico la cui topologia riflette la somiglianza semantica tra le categorie.

Per verificare questa ipotesi, hanno usato i dati sui livelli di attivazione del cervello (o per la precisione di singole piccole unità volumetriche, o voxel, della corteccia cerebrale) ottenuti applicando la Bold fMRI (che permette di valutare il consumo di ossigeno dei neuroni delle diverse aree) a un gruppo di soggetti mentre osservavano diverse ore di filmati contenenti numerose categorie di oggetti e di azioni che si presentano frequentemente nelle attività quotidiane.

I filmati sono stati poi analizzati dai ricercatori che vi hanno identificato 1364 categorie di oggetti e azioni di uso comune, di cui hanno definito le eventuali relazioni semantiche ricorrendo alla classificazione riportata dal lessico di WordNet. WordNet è un ampio database in cui nomi, verbi, aggettivi e avverbi sono raggruppati sulla base dell'affinità di significato affine, ma fra cui è possibile stabilire delle “gerarchie” concettuali (per esempio, una scena contenente un cane deve contenere un quadrupede e, analogamente, se qualcuno russa deve anche dormire). Le relazioni gerarchiche di WordNet hanno permesso di dedurre la presenza di altre 341 categorie di ordine superiore a quelle già individuate dai ricercatori.

A questo punto, attraverso una serie di procedimenti statistici, i ricercatori sono riusciti a definire un modello che indica i “pesi” che caratterizzano la risposta di ciascun voxel della corteccia cerebrale a ognuna delle 1705 categorie.

In questo modo i ricercatori hanno dimostrato che le categorie sono rappresentate, secondo specifici gradienti, su tutta la superficie della corteccia del cervello, sia visiva che non visiva, ma in modo tale che le categorie simili si trovino una accanto all'altra. In particolare, i ricercatori hanno trovato che questa organizzazione era comune a tutti i volontari testati.

"La scoperta delle caratteristiche spaziali che il cervello usa per rappresentare le informazioni ci aiuta a ricostruire le mappe funzionali sulla superficie corticale. Probabilmente il cervello usa meccanismi analoghi per mappare altri tipi di informazioni su tutta la superficie corticale, quindi il nostro approccio dovrebbe essere ampiamente applicabile anche ad altri settori di neuroscienze cognitive", ha osservato Gallant. Credit Le Scienze 

1~In A, struttura delle relazioni semantiche fra alcuni dei 1705 concetti considerati dai ricercatori I collegamenti indicano un rapporto di appartenenza: per esempio, un atleta è una persona. Ogni indicatore rappresenta un nome (cerchio) o verbo (quadrato). In B, il codice colore in 3D usato per rappresentare l'intensità della risposta dei voxel. In C, esempio di una risposta prevista dal modello degli autori di ciascun voxel sulla base delle relazioni semantiche che vi sono fra i diversi concetti. (Cortesia A.G.Huth / PNAS)


2~La proiezione  sulla corteccia cerebrale della distribuzione di varie categorie concettuali elaborata sulla base delle risposte fMRI dei singoli voxel in tre differenti soggetti. (Cortesia A. G: Huth et al. / Neuron)