Alla scoperta dei geni dell'autismo (e non solo)
Gaia Novarino studia le basi genetiche e molecolari dei disturbi neurologici dello sviluppo e per questo ha ricevuto un prestigioso riconoscimento internazionale. Ecco cosa racconta la biologa della sua ricerca su autismo, ritardo mentale ed epilessia in questa intervista a "Le Scienze"
Autismo, ritardo mentale, epilessia: sono i disturbi neurologici dello sviluppo di cui più si occupa Gaia Novarino, oggi in forze all’Istituto austriaco di scienza e tecnologia di Klosterneuburg, andandone a cercare le basi genetiche e molecolari. Sua, per esempio, la recente scoperta del coinvolgimento di un gene, SETD5, in una certa parte di casi di ritardo mentale. Proprio per queste ricerche, giudicate «eccezionali e innovative», a Novarino è stato conferito il Boehringer Ingelheim FENS Research Award, uno dei più prestigiosi riconoscimenti europei per giovani neuroscienziati. La consegna ufficiale avverrà a luglio, durante il Forum biennale della Federazione delle società europee di neuroscienze (FENS).
Partiamo dal premio: che cosa significa per lei?
Non me lo aspettavo ed è stata una bella sorpresa. Sapere che la propria ricerca ha un impatto riconosciuto con un premio aiuta a compensare le inevitabili frustrazioni quotidiane del lavoro. Non solo: visto che sono arrivata in Austria dopo alcuni anni negli Stati Uniti, questo riconoscimento è un’occasione per riavvicinarmi alla comunità scientifica europea e portare alla sua attenzione un tema, quello delle basi genetiche di disturbi come l’autismo, che è ai primi posti nell’agenda della ricerca statunitense, ma è un po’ più trascurato da noi.
Oltre che di autismo, lei si occupa anche di ritardo mentale ed epilessia: perché proprio queste tre condizioni?
Perché sono spesso sovrapposte. Circa un quarto dei bambini con autismo prima o poi sviluppa epilessia e la metà presenta ritardo mentale. D’altra parte, molti bambini con epilessia hanno anche autismo e ritardo cognitivo. L’ipotesi è che alla base di questi disturbi, che insorgono come conseguenza di anomalie nello sviluppo del sistema
nervoso, ci siano meccanismi genetici comuni. Ovviamente parliamo di una genetica complessa, perché le forme possibili sono tantissime: da quelle monogeniche, in cui il disturbo dipende da mutazioni in un singolo gene, a quelle dovute a riarrangiamenti cromosomici più massicci. E ancora, ci sono forme che dipendono dalla combinazione casuale e rara di variazioni genetiche comuni nella popolazione e altre che sono frutto di un’interazione tra una particolare suscettibilità genetica e uno stimolo ambientale, come potrebbe essere un’infezione virale.
Su quali forme si concentra il suo gruppo?
Siamo partiti da quelle monogeniche, tutto sommato le più semplici da studiare anche se sono caratterizzate da grande eterogeneità, cioè dal fatto che possono essere coinvolti moltissimi geni differenti. Significa che, presi 1000 pazienti, c’è un’altissima probabilità che ognuno abbia una mutazione in un gene diverso: in altre parole ancora, la manifestazione clinica può essere la stessa, ma il difetto genetico alla base varia da paziente a paziente. In questo senso ci ha stupito positivamente la scoperta che il gene SETD5 risulta mutato nell’uno per cento circa dei pazienti con ritardo mentale: una percentuale che in questo contesto è molto alta. Ora stiamo anche cercando di capire che cosa faccia questo gene: l’ipotesi è che si tratti di un regolatore della trascrizione, capace di orchestrare a cascata l’attività di tanti altri geni. Forse per questo la sua mutazione ha effetti tanto devastanti. Un’altra possibilità è che la sua alterazione renda il cervello meno «plastico» e dinamico, meno pronto a reagire ai segnali esterni che si modificano di continuo durante lo sviluppo.
Quali metodi usate per queste indagini?
I più diversi. Sul fronte molecolare sono una grande fan delle nuove tecniche di editing genetico, utilissime per studiare le funzioni dei geni. Ma facciamo anche analisi istologiche sui cosiddetti minibrain, minicervelli sviluppati a partire da cellule staminali, ed esperimenti di elettrofisiologia o di comportamento su modelli animali, in particolare il topo.
Alla scoperta dei geni dell'autismo (e non solo)
Minicervelli ricavati da cellule staminali, utili per lo studio delle cause biologiche di disturbi neurologici (Cortesia Novarino)
Lo studio delle basi genetiche dei disturbi neurologici dello sviluppo è recente ma in rapida espansione. Perché è considerato tanto importante?
C’è una prima ragione profondamente umana: perché per i genitori dei bambini colpiti da questi disturbi è fondamentale capirne le cause. Sapere che cosa ha portato alla malattia è spesso un passo importante per l’accettazione. Poi ci sono le ragioni scientifiche. Sappiamo ancora assai poco riguardo al funzionamento del cervello umano e studiare i geni alla base di queste malattie permette di scoprire nuovi dettagli. Oltre che di identificare eventuali vie biologiche comuni a diverse malattie o a diverse forme della stessa malattia.
Ci può spiegare meglio?
Supponiamo di scoprire che un certo gene è coinvolto nell’insorgenza di un ritardo mentale: capire che cosa fa quel gene nella cellula significa identificare una via biologica che potrebbe avere a che fare anche in altri punti (cioè con altri geni) con il ritardo mentale. Questo da un lato aiuta a indirizzare meglio le ricerche quando ci si trova di fronte a un nuovo paziente, dall’altro riduce l’ambito di lavoro rispetto alle possibili terapie. Per esempio: si stima che nelle forme genetiche di autismo siano coinvolti 500-1000 geni, ma può darsi che tutti questi facciano capo a un numero molto inferiore di vie biologiche, poniamo una cinquantina. È ben diverso cercare di mettere a punto 500 o 1000 terapie differenti o solo 50.
A proposito di terapie, questo tipo di studi può portare anche a ricadute concrete?
Certo, è quello che è successo con una scoperta di qualche anno fa, quando ancora lavoravo a San Diego. Con il mio gruppo di allora, avevamo identificato un gene responsabile di una rara forma di autismo associato a epilessia e coinvolto nel metabolismo di particolari amminoacidi. Abbiamo anche scoperto che, almeno in modelli animali, la somministrazione di quegli amminoacidi è in grado di prevenire l’insorgenza del disturbo o di trattarlo se già presente. Ora sono in corso ulteriori sperimentazioni.
Tornando al contesto delle neuroscienze europee: che cosa pensa dello Human Bran Project, il progetto finanziato dalla Commissione Europea che punta alla simulazione al computer di tutte le attività del cervello umano?
Sono molto critica e infatti sono stata tra coloro che nel 2014 hanno firmato una lettera con la richiesta alla Commissione di rivedere il finanziamento del progetto. Credo che i tempi non siano ancora maturi per una modellizzazione completa del cervello umano, e che gli stessi fondi si potrebbero impiegare in modo più proficuo in lavori sperimentali, in grado di produrre dati concreti.
(L'originale di questo articolo è stato pubblicato su"Le Scienze" n.569, gennaio 2016)
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CHI E'
Gaia Novarino, 39 anni, si è laureata in biologia alla «La Sapienza» Università di Roma. Già durante il dottorato, conseguito sempre a Roma, si è spostata all’estero, dove ha svolto tutta la sua carriera, in particolare al Max Delbruck Center for Molecular Medicine di Berlino e all’Università della California a San Diego. Dal 2014 dirige un gruppo di ricerca all’Istituto austriaco di scienza e tecnologia di Klosterneuburg, dove insegna neurogenetica e biologia dei disturbi neurologici. Ha all’attivo numerose pubblicazioni scientifiche, tra le quali tre come primo autore sulla rivista «Science». Oltre al premio Boehringer Ingelheim FENS, ha ricevuto nel 2012 e nel 2014 due premi del CURE, Citizen United for Research in Epilepsy, agenzia non governativa statunitense che si occupa di ricerca sull’epilessia.
venerdì 3 giugno 2016
Alla scoperta dei geni dell'autism
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