SE A SCUOLA LA GENETICA CONTA PIÙ DELL'INSEGNAMENTO!
La componente innata, ereditata dai genitori per via genetica, è più importante di quella educativa nello spiegare le differenze di rendimento scolastico. E' quanto risulta da un ampio studio sui punteggi ottenuti da 11.000 coppie di gemelli negli esami di scuola secondaria del Regno Unito, che evidenzia però una differenza tra le materie: prestazioni positive in biologia, chimica e fisica sembrano infatti più ereditabili rispetto a letteratura, arte e musica. La conclusione conferma che l'educazione di bambini e adolescenti non può prescindere dal riconoscimento e dalla valorizzazione delle inclinazioni individuali.
I risultati agli esami dipendono più dai geni che dalla qualità dell'insegnamento: è quanto risulta da un nuovo studio condotto da un gruppo di ricercatori del King's College di Londra e apparso sulla rivista PLOS ONE.
Il dibattito sull'importanza relativa di natura e cultura - il cosiddetto nature vs nurture - impegna da decenni filosofi, psicologi e pedagogisti nel tentativo di stabilire quale sia la parte innata e quale invece quella appresa delle qualità individuali dell'essere umano.
Attualmente, il problema viene studiato nell'ambito della branca della psicologia nota come genetica del comportamento, che si occupa di misurare con metodi standardizzati diversi aspetti della personalità e di metterli a confronto tra soggetti che condividono in parte o del tutto il patrimonio genetico (gemelli, fratelli e parenti di diverso grado) oppure l'ambiente.
Soggetti privilegiati di questi studi sono i gemelli omozigoti, dal momento che hanno in comune il 100 per cento dei geni: in questo caso è più facile valutare il contributo allo sviluppo psichico dell'ambiente, per esempio la famiglia (se è la stessa o se i soggetti sono vissuti in famiglie adottive differenti), la scuola (se è la stessa o no) o la cerchia di amici. Proprio grazie alle ricerche sui gemelli è stato stabilito tra l'altro che una qualità come l'intelligenza è fortemente correlata a quella dei genitori biologici e molto meno all'ambiente.
In quest'ultimo studio, sono stati analizzati con metodi statistici i punteggi ottenuti da più di 11.000 coppie di gemelli identici nel General Certificate of Secondary Education (GCSE), un esame che viene sostenuto nel Regno Unito a 16 anni, al termine della scuola dell'obbligo.
I dati dei punteggi complessivi mostrano che la genetica spiega in media il 58 per cento della variabilità dei risultati ottenuti negli esami, mentre solo il 29 per cento della variabilità è dovuto all'ambiente condiviso. La percentuale restante è infine da attribuire all'ambiente non condiviso.
I dati disaggregati mostrano invece qualche interessante differenza tra materie scientifiche e materie artistiche. Le capacità che consentono di risolvere i problemi in biologia, chimica e fisica sembrano infatti più ereditabili rispetto a letteratura, arte e musica. Per le prime le differenze esistenti tra i diversi soggetti sono da attribuire per il 58 per cento alla genetica, per le seconde invece la percentuale si riduce al 42 per cento.
“I bambini mostrano notevoli differenze nella facilità di apprendimento scolastico: la nostra ricerca mostra che queste differenze sono da attribuire più ai geni che all'educazione”, spiega Nicholas Shakeshaft, uno degli autori della ricerca. “Bisogna però fare una puntualizzazione sul significato di questi numeri: poiché stiamo studiando un'intera popolazione, non significa che la genetica spiega il 60 per cento delle prestazioni di un singolo soggetto, ma che spiega il 60 per cento delle differenze tra gli individui.
I risultati dello studio potrebbero avere notevoli ripercussioni per chi studia pedagogia e didattica. "È importante riconoscere l'importanza del ruolo della genetica nei risultati scolastici degli alunni”, ha sottolineato Robert Plomin professore di psichiatria del King's College di Londra e autore senior dello studio. “Ciò significa che il miglioramento del rendimento scolastico può essere ottenuto con sistemi educativi in grado di riconoscere e valorizzare le abilità e le necessità dei singoli, che sono in gran parte predisposizioni genetiche”.
Credit Le Scienze
mercoledì 18 maggio 2016
SE A SCUOLA LA GENETICA CONTA PIÙ DELL'INSEGNAMENTO!
lunedì 2 maggio 2016
Antonio Damasio, emozioni e cognizione
Antonio Damasio, emozioni e cognizione
Phineas Gage era un abile ed esperto capo operaio americano, che, in un giorno per lui sfortunato del 1848, ebbe il cranio trapassato da un palo di ferro lungo un metro e dieci centimetri, del diametro di circa tre centimetri. Il palo, sparato dall'esplosione accidentale di una carica da mina, penetrò nella guancia sinistra di Gage e uscì dalla sommità del suo cranio avendo attraversato la parte frontale del cervello. Gage perse i sensi solo per pochi minuti. Fu curato da un medico molto capace - il dottor John Harlow - che gli evitò le conseguenze peggiori dell'inevitabile infezione. Guarì, e non solo: le sue capacità cognitive (linguaggio, ragionamento, ecc.) risultarono sostanzialmente intatte. Eppure, aveva subito un mutamento profondo, che gli avrebbe reso impossibile una vita normale. Nelle parole del suo medico, egli era divenuto "bizzarro, insolente, capace delle più grossolane imprecazioni (da cui in precedenza era stato del tutto alieno)... a volte tenacemente ostinato, e però capriccioso e oscillante: sempre pronto a elaborare molti programmi di attività future che abbandonava non appena li aveva delineati". Non fu in grado di tornare al suo vecchio lavoro, ne di tenerne altri per un periodo sufficiente; morì a San Francisco nel 1861, forse in seguito a una serie di attacchi di epilessia.
Che cosa era successo esattamente a Phineas Gage, e che cosa succede agli altri che, come lui, subiscono una lesione selettiva alle cortecce prefrontali del cervello? L'eccellente libro di Damasio è - tra molte altre cose - un tentativo di rispondere a questa domanda. La risposta è dettagliata, e chiama in causa molte conoscenze e non poche speculazioni (non tutte cogenti, ma sempre interessanti): tra l'altro, si intreccia con una teoria generale del rapporto tra mente e corpo, con un'ipotesi sulla costituzione del sé e sulla coscienza e con una teoria delle emozioni e dei sentimenti. Qui cercherò di limitarmi al filo principale di questo intreccio.
Il problema è chiaro. I pazienti prefrontali come Gage si comportano in modo "irrazionale": in particolare, a essere menomati sono i loro processi decisionali. Per esempio, in un'occasione un paziente di Damasio, dovendo scegliere la data dell'appuntamento successivo (una decisione banale e non particolarmente problematica), andò avanti per quasi mezz'ora a soppesare i pro e i contro delle possibili alternative in relazione ad altri impegni, alle condizioni del tempo, a ogni possibile elemento interferente; salvo poi accettare senza esitazione la data proposta dai medici. Eppure, questi pazienti non presentano anomalie dei processi cognitivi: parlano e ragionano normalmente. Questo suggerisce che la deliberazione non sia un compito puramente cognitivo, non sia cioè - come vorrebbe una tradizione che da Kant giunge alle moderne teorie della scelta razionale - un puro calcolo di costi e benefici, che esamina uno dopo l'altro i corsi d'azione possibili scegliendo infine quello caratterizzato dalla massima "utilità attesa".
Se davvero dovessimo decidere a questo modo, saremmo come i cerebrolesi studiati da Damasio: non ne usciremmo mai. Saremmo sempre nelle condizioni dell'asino di Buridano, che muore di fame non riuscendo a decidersi tra due mucchi di fieno. Certo, nel caso dell'asino i due mucchi erano uguali; ma il punto è che non è sempre facile determinare - in termini strettamente cognitivi - quale di due mucchi è il più grosso: "Non è facile tenere a mente i molteplici livelli di guadagni e perdite che bisogna confrontare: dalla lavagna della memoria semplicemente scompaiono le rappresentazioni dei passi intermedi che bisogna tenere in serbo... Di quei passi intermedi si perdono le tracce, giacché attenzione e memoria operativa hanno capacità limitata".
Se la deliberazione dev'essere possibile nei tempi e con le risorse normalmente disponibili a un essere umano, dev'esserci un meccanismo automatico che la semplifica drasticamente: ed è all'alterazione di questo meccanismo che dev'essere imputata la menomazione a cui sono soggetti i pazienti prefrontali.
Questo meccanismo, per Damasio, ha a che fare con le emozioni, le quali svolgono, nella produzione di comportamenti razionali, un ruolo molto più importante di quello che viene loro solitamente attribuito. Damasio ritiene che ci siano buone ragioni, sia neurobiologiche sia psicologiche, per respingere l'immagine consolidata secondo cui le emozioni sarebbero appannaggio del nucleo evolutivamente più antico del cervello (ipotalamo, sistema limbico, ecc.), mentre la razionalità sarebbe gestita dalla corteccia cerebrale più recente. Secondo lui, ciò che chiamiamo razionalità è l'effetto combinato di parti antiche e parti recenti. Più o meno quello che sostiene Paul McLean con il Cervello trino, cioè convivono nell'encefalo un cervello rettile, uno mammifero antico e uno umano!
Quando deliberiamo, all'esito dei corsi d'azione alternativi che ci immaginiamo è connesso un marcatore somatico, positivo o negativo. Il marcatore è un segnale che ha la funzione di incentivare o disincentivare le scelte al cui esito è associato, in modo tale che esse vengano decisamente preferite o invece escluse dalla considerazione del deliberante. L'esempio più chiaro di marcatore somatico (negativo) è la spiacevole sensazione alla bocca dello stomaco che proviamo quando ci immaginiamo l'esito negativo di una certa possibile scelta. Ma non è indispensabile che il corpo subisca davvero una modificazione; esiste un meccanismo alternativo in cui il corpo viene aggirato: le cortecce prefrontali e l'amigdala dicono alla corteccia somatosensitiva di organizzarsi come se il corpo fosse stato messo in un certo stato. Il cervello, in parole povere, percepisce un corpo "emozionato" anche se il corpo non è davvero cambiato.
In entrambi i casi, l'idea è che le alternative vengono preselezionate anche in base al loro contenuto emotivo, dove un'emozione "è un insieme di cambiamenti dello stato corporeo connessi a particolari immagini mentali che hanno attivato uno specifico sistema cerebrale", e provare un'emozione è l'esperienza di quei cambiamenti in giustapposizione alle immagini mentali che hanno dato avvio al ciclo. Non so quanto l'anticartesiano Damasio sia consapevole della forte somiglianza tra il suo modo di guardare a emozioni e sentimenti e la teoria delle passioni di un grande cartesiano eterodosso, Spinoza: il sentimento, per Damasio, è l'esperienza di ciò che il corpo fa "mentre corrono i pensieri riguardanti specifici contenuti"; Spinoza, unificando emozioni e sentimenti nella nozione di affetto, diceva che un affetto è un'"affezione del corpo... e insieme l'idea di questa affezione".
Una serie di test estremamente ingegnosi mostrano che i pazienti prefrontali sono meno capaci di emozioni dei soggetti normali; nel senso, per esempio, che non esibiscono risposte somatiche a immagini emotivamente coinvolgenti, pur sapendo che si tratta di immagini emotivamente cariche, (vedi i neuroni specchio di Rizzolatti) ed essendo perfettamente in grado di spiegare di quali specifiche emozioni si tratta: essi sono in grado di dire che un'immagine dovrebbe suscitare orrore, ma nulla nel loro corpo esprime un tale orrore. In loro si è interrotto il circuito immaginazione - risposta somatica - cambiamento mentale che nei soggetti normali è alla base dei processi deliberativi. D'altra parte, vi sono secondo Damasio buone ragioni neurobiologiche per ritenere che le aree prefrontali siano proprio quelle deputate alla gestione della maggior parte dei processi implicati nel circuito in questione.
L'immagine di un cervello che invia segnali al corpo e a sua volta ne "ascolta" continuamente e attentamente le risposte ("il cervello è l'avvinto uditore del corpo") si generalizza, nel libro di Damasio, in un'immagine del rapporto tra mente e corpo e in una teoria del sé, in cui è centrale la costante rappresentazione cerebrale dello stato del corpo. Il sé è fatto in parte di memoria autobiografica (sapere come ci chiamiamo, dove abitiamo, che cosa ci piace, che vita abbiamo vissuto, ecc.) e in parte non minore della rappresentazione continuamente ripetuta dello stato del nostro corpo: di qui l'angosciosa perdita di sé dei pazienti affetti da anosognosia, che sono condannati a una conoscenza "oggettiva", esteriore del proprio corpo passato, perché la loro mente non percepisce più il suo stato presente. E di qui anche la polemica anticartesiana di Damasio, contro il dualismo cartesiano - la netta separazione di mente e corpo - e subordinatamente contro la priorità della mente sul corpo, che sarebbe espressa dal celebre "Cogito ergo sum". Per Damasio, al contrario, la mente deriva dal corpo e anzi dall'intero corpo, non solo dal cervello.
Qualche tempo fa Gianni Vattimo sottolineava l'importanza, per la filosofia, del pensiero filosofico fatto dai non addetti ai lavori. Non credo che avesse in mente libri come questo, perché citava la critica d'arte, le teorie sui media, le riflessioni sul costume, ecc. Se la filosofia, tra i suoi vari scopi, ha anche la comprensione di che cos'è essere umani, sembra a me che queste riflessioni di un neurobiologo portoghese-americano ci dicano cose più radicali e più illuminanti di molte analisi della contemporaneità, che in fondo hanno sempre a che fare con episodi effimeri - anche se per noi significativi - della vicenda della nostra specie.
L'immagine mostra una sezione del cervello umano e l'integrazione sostenuta da Damasio tra neo corteccia (in rosa) e sistema limbico antico (in azzurro). Lo stimolo emotivo si divide in due strade, una inferiore e una superiore. La parte bassa sente le emozioni, circolo in rosso, elabora i ricordi ed accede ai sentimenti. L'altra strada va dritta alla parte superiore ed elabora flussi di pensieri colorati dai sentimenti! Papez nel 1937 aveva già elaborato un percorso del genere. La genialità di Damasio sta nell osmosi tra antico e nuovo, le emozioni non sono animalesche, ma colorano i flussi di pensieri e sentimenti!