Con la PET (Tomografia
Emissione Positroni)
La sindrome ADHD fu individuata per
la prima volta nel 1845 dal medico Heinrich Hoffman in un libro
intitolato "The Story of Fidgety Philip", un’accurata descrizione di
un bambino iperattivo, ma riconosciuta come un problema medico solo nel 1902 in
seguito a una serie di conferenze tenute da Sir George F. Still
per il Royal College of Physicians inglese, la sindrome da
iperattività/deficit di attenzione (ADHD) è fra i problemi di salute mentale pediatrica.
L’ADHD consiste in un disordine dello sviluppo neuro
psichico del bambino e dell’adolescente, caratterizzato da iperattività,
impulsività, incapacità a concentrarsi che si manifesta generalmente prima dei 7 anni d’età.
La sindrome è stata descritta clinicamente e definita nei criteri diagnostici e
terapeutici soprattutto dagli psichiatri e pediatri statunitensi, sulla base di
migliaia di pubblicazioni scientifiche, nel “Diagnostic and Statistic Manual of
Mental Disorders”, il manuale pubblicato dalla American Psychiatric Association
utilizzato come referenza psichiatrica a livello internazionale (DSM-IV).
Sintomi e diagnosi
Secondo il DSM, l’ADHD può essere quindi definita come
“una situazione/stato persistente di disattenzione e/o iperattività e
impulsività più frequente e grave di quanto tipicamente si osservi in bambini
di pari livello di sviluppo”. Questi sintomi finiscono con il causare uno stato
di disagio e di incapacità superiore a quello tipico di bambini della stessa
età e livello di sviluppo.
I sintomi chiave di questa condizione sono la
disattenzione, l'iperattività e l’impulsività, presenti per almeno
6 mesi e comparsi prima dei sette anni di età.
I bambini con ADHD:
-
hanno difficoltà a completare qualsiasi attività che
richieda concentrazione
-
sembrano non ascoltare nulla di quanto gli viene detto
-
sono eccessivamente vivaci, corrono o si arrampicano,
saltano sulle sedie
-
distraggono molto
facilmente
-
parlano in continuazione, rispondendo in modo irruento
prima di ascoltare tutta la domanda
-
non riescono ad aspettare il proprio turno in coda o in
un gruppo di lavoro
-
possono manifestare serie difficoltà di apprendimento che
rischiano di farli restare indietro rispetto ai compagni di classe, con danni
emotivi
La diagnosi di ADHD può essere formulata secondo il DSM
in presenza di:
-
6 o più dei 9 sintomi di disattenzione
-
oppure di
-
6 o più dei 9 sintomi di iperattività\impulsività.
Utilizzando un criterio diagnostico più restrittivo,
l’International Statistical Classification of Diseases and Related Health
Problems (ICD-10) dell'Organizzazione Mondiale della Sanità,
definisce la presenza di
“disordine ipercinetico” quando sono compresenti sintomi di iperattività, di
comportamenti impulsivi e di deficit di attenzione.
sindrome ADHD si può accompagnare, a seconda dei casi, lo
sviluppo di altre forme di disagio: ansietà e depressione, disordini comportamentali, difficoltà
nell’apprendimento, sviluppo di tic nervosi.
Le cause
Le cause che portano alla manifestazione della sindrome
di ADHD non sono univoche,
né ancora accertate completamente dai medici. Diverse ricerche identificano una
certa familiarità nella presenza di ADHD, suggerendo una componente genetica
nella sua trasmissione.
Alcuni studi vanno nella direzione di valutare gli effetti di alcool e
fumo durante la gravidanza sullo sviluppo di ADHD. Da un punto di vista
neurofisiologico, studi svolti su alcune aree del cervello dalla divisione di
psichiatria pediatrica dei Servizi di salute mentale americani (NIMH), con
tecniche di risonanza magnetica, Tac e con diversi tipi di tomografia hanno
dimostrato che queste aree sono effettivamente più piccole in volume nei
bambini con ADHD rispetto a quelli nei quali la sindrome non si è manifestata, cioè nei casi di
controllo. Questo stesso studio indica che i parametri presi in considerazione
sono normalizzati in bambini che sono sottoposti a trattamento rispetto a
quelli che non subiscono alcun trattamento. Altri studi hanno
invece evidenziato un deficit nella trasmissione dopaminergica.
Per quanto riguarda la possibile influenza di fattori
ambientali, secondo una ricerca americana pubblicata sulla rivista Pediatrics,
svolta su 2500 bambini, la
TV e in particolare le ore trascorse quotidianamente dai bambini di fronte a
essa dall’età di 0 fino ai sei anni influiscono significativamente sullo
sviluppo di disordini dell’attenzione e iperattività. Secondo i ricercatori
statunitensi non sarebbero i contenuti ma le immagini irreali e veloci di molti programmi
ad alterare lo sviluppo del cervello.
Il trattamento
Il trattamento dell’ADHD può richiedere un approccio sia terapeutico,
seguendo una terapia psico-dinamica, che farmacologico. Il farmaco più indicato dagli studi per il
trattamento farmacologico è il metilfenidato (prodotto con il
nome commerciale di Ritalin®), assieme a diversi tipi di anfetamine.
In ogni caso, l’approccio terapeutico ottimale deriva
dalla capacità da parte dei medici e delle famiglie di riuscire a elaborare,
nel corso di un follow-up prolungato, un corretto bilancio beneficio-rischio per lo
sviluppo del bambino affetto da ADHD. E’ cioè determinante riuscire a
distinguere se ai fini di questo sviluppo sia più favorevole un trattamento
farmacologico prolungato con stimolanti oppure interventi terapeutici e
comportamentali non farmacologici.
Secondo gli NIH americani, tra il 70 e l’80 per cento dei
bambini rispondono positivamente ai trattamenti, migliorando la propria
capacità di concentrazione, di resa nell’apprendimento, di rapporto con gli
altri bambini e con gli insegnanti, di controllo dei propri comportamenti
impulsivi. Essenziale ai fini di un risultato positivo della terapia è un
rapporto prolungato con lo psichiatra infantile, sia da parte del bambino che
della famiglia, per sviluppare in modo concertato tecniche di gestione del
comportamento.
Il ricorso al trattamento farmacologico, in ogni caso,
dovrebbe essere il risultato di una attenta diagnosi, che si basa
sull’esecuzione da parte del bambino di numerosi test, che permettono di
valutare tutte le possibilità di ridurre al minimo il rischio del
trattamento stesso e di stabilire l’appropriatezza terapeutica del farmaco.