Le scienze dell’educazione ( la pedagogia, la
didattica, la psicologia, la filosofia, la sociologia, l’antropologia), possono
ancora oggi suggerire, al fine di comprendere la vera natura dell’uomo, i suoi
misteri profondi, i significati più propri da attribuire a parole d’uso comune,
anche nel mondo umanistico e letterario, come amore, anima, coscienza e,
soprattutto, mente?
O saranno la Biologia della mente, le scienze
cognitive, la neuropsicologia e le neuroscienze a dire qualcosa di definitivo
sulla natura dell’apprendimento esplicito che richiede una partecipazione
cosciente e che consiste nell’acquisizione di informazioni su persone luoghi e
cose, e, naturalmente, sulla memoria in quanto immagazzinamento delle medesime informazioni,
a breve o lungo termine?
La frontiera della ricerca nel settore
umanistico è quella indicata dalle scoperte, pressoché quotidiane, di gruppi di
ricercatori stranieri che trovano una eco nelle Riviste di settore,
prevalentemente in inglese, ma anche in italiano, come Nature, Le
Scienze e Mente & Cervello. Perché
le neuroscienze? In fondo l’attività didattica, e quindi il fine di ogni
insegnamento scolastico, non è quello di facilitare l’apprendimento del bambino? Si tratta, pur
sempre, di dare informazioni che restino nella mente e che incidano sugli atti
concreti che si compiono nel corso dell’esistenza: capire qualcosa, riconoscere
situazioni d’esperienza analoghe, decifrare il linguaggio del quale facciamo
costantemente uso, imparare ad esprimersi in forma scritta e in forma orale,
padroneggiare lo spazio, assumere e rappresentare numericamente la durata del
tempo, apprezzare e godere del bello che c’è nelle cose e nell’opera dell’uomo,
aprire lo sguardo sul passato per recuperare la memoria, e, infine, andare
oltre il contingente e il provvisorio per proiettarsi nel cielo alla ricerca di
una ragione di senso. Così è d’obbligo la conoscenza dei meccanismi
neuronali che presiedono ad ogni situazione di apprendimento, addirittura condividendo con la Montessori che gli organi di
senso, “le porte dell’anima”, scaricano, anche attraverso vere e proprie
correnti elettriche, la percezione degli oggetti e delle persone con i quali ci
relazioniamo, sul cervello, vera e propria, “scatola magica”o, come la
definisce j. Monod, “l’altra frontiera”.
Di qui, dunque, gli argomenti da recuperare e
consegnare agli studiosi delle scienze
dell’educazione (
la pedagogia, la didattica, la psicologia, la filosofia, la sociologia,
l’antropologia), giusto per citare quelle per così dire
“classiche”, in modo da privilegiare le indicazioni che si possono ricavare
dalle scienze neurobiopsicologiche, capaci di fondare, o meglio di arricchire,
lo spazio aperto dalle ricerche di S. Freud e da completarle con quello che la “biologia
della mente” può oggi suggerire al fine di comprendere la
vera natura dell’uomo, i suoi misteri profondi, i significati più propri da
attribuire a parole d’uso comune, anche nel mondo umanistico e letterario, come
amore, anima, coscienza e, soprattutto, mente.
L’illusione derivata dalla “morte della pedagogia”[1]
che non aveva trovato più accoglienza nella cultura della comunità dei
viventi, e meno che mai nei media più comuni, in fondo segnala il bisogno di un
recupero, l’incongruenza di un silenzio che non poteva certamente giovare alle
generazioni che crescono e che avanzano ad ogni istante domande di senso e di
cultura.
Così, sollecitato soprattutto dalla
riflessione sull’opera e sugli scritti di alcuni tra i più recenti Nobel, in
primo luogo Eric Kandel, ma anche “l’uomo che scambiò sua moglie per un cappello”, Francis Crick, è giunto il
momento di chiarire il portato della memoria e l’autenticità dell’apprendimento
che stanno alla base, ovviamente, di ogni processo di crescita e di sviluppo
della persona umana.
La mente non è una declinazione verbale, ma
un sostantivo vero e proprio. Come a dire che il cervello è il cervello e la mente è,
appunto, la mente, cioè una entità indecifrabile e bellissima, addirittura
misteriosa, perfino potente. Nessuno nega l’esistenza di “stati mentali” che
danno conto e coscienza di sé e degli altri, come anche danno consapevolezza
del passato e del futuro. Sono prodotti, i più elevati, della mente umana e
dipendono da un gioco molecolare. Ma c’è da chiedersi: se vogliamo indagare e
scoprire la natura e i segreti di questi stati mentali dobbiamo, all’origine,
dare conto della natura e delle funzioni del cervello, perché è lui “il pilota
automatico”, quello che i
behavioristi non potevano accertare perché non osservabile. Lo scrive Kandel: “Skinner e i
behavioristi si concentrarono in maniera esclusiva sul comportamento
osservabile ed esclusero dal loro lavoro ogni riferimento alla vita mentale e
ogni sforzo mirato all’introspezione, essendo questi elementi che non potevano
essere osservati, misurati o impiegati allo scopo di sviluppare regole generali
sul modo in cui le persone
si comportano”.[2]
La “biologia della mente”, proposta da
Kandel, faciliterà la risposta più propria. Eccola: “La maggior parte di noi
accetta tranquillamente gli esisti della ricerca scientifica sperimentale
quando valgono per altre parti del corpo: ad esempio, siamo del tutto a nostro
agio con il fatto che il cuore non è la sede delle emozioni, ma un organo
muscolare che pompa sangue attraverso il sistema circolatorio. Eppure l’idea
che la mente e la spiritualità umane si originino in un organo fisico, il
cervello, per alcuni suona
nuova e allarmante. Costoro trovano difficile credere che il cervello
sia un organo computazionale che elabora informazioni, la cui meravigliosa
potenza non deriva dal suo mistero, bensì dalla sua complessità: dall’enorme
quantità, varietà e interazione delle sue cellule nervose”.[3]
Cervello e mente sono la stessa cosa. La
scienza della mente, fin dagli anni Settanta, fusa con la neuroscienza, appunto
la scienza del cervello, ha risolto il dilemma.
Biologia della mente, scienze cognitive,
neuropsicologia e neuroscienze sapranno allora dire qualcosa sulla natura
dell’apprendimento esplicito che richiede una partecipazione cosciente e che
consiste nell’acquisizione di informazioni su persone luoghi e cose, e,
naturalmente, sulla memoria in quanto immagazzinamento delle medesime
informazioni, a breve o lungo termine.
La scommessa sulla mente
Una “biologia della mente”, qual è proposta
dal Kandel, può aiutarci a capirne la natura e la funzione nell’economia intera
dell’attività neuronale. Ciò è stato possibile certamente per la fusione della
scienza della mente con la scienze del cervello, tanto che la tecnologia dell’imaging cerebrale ha autorizzato i neuro scienziati di entrare
dentro al cervello, come hanno fatto Turnbull e Solms per rilevare
quello che succede quando si esaminano gli stati mentali come il percepire
un’azione visiva, pensare ad un percorso spaziale o avviare un’azione
volontaria. “L’immagine cerebrale opera per mezzo di indici che misurano
l’attività neurale: la tomografia a emissione di positroni (PET) rileva il consumo
di energia del cervello e l’imaging a risonanza magnetica funzionale (fRMI) ne rileva l’utilizzo di ossigeno”.[4]
Ma anche le neuroscienze cognitive con la biologia molecolare hanno contribuito
a definire una “biologia molecolare delle attività cognitive” che facilita
conoscenza di processi mentali come il modo di pensare, di provare sensazioni,
di apprendere e ricordare. Tutto ciò consente di riaffermare l’evoluzione dei
processi mentali che la biologia della mente alla fine riuscirà a spiegare per
comprendere i passaggi tra le cellule nervose che comunicano fra loro.
Quello che sicuramente dobbiamo rilevare è
che l’insieme della psicologia cognitiva, della biologia molecolare, della
neuroscienza, della biologia della mente, della filosofia della mente
forniscono risposte alle domande che emergono dalla lettura della memoria che
ha la forza agglomerante delle esperienze che costellano la nostra esistenza
quotidiana, senza la quale la frammentazione d’esse non aiuterebbe a dare conto
dei momenti che viviamo e meno che mai dei “viaggi mentali” nel tempo che è necessario ricostruire
con la mente per arricchire il sapere esperienziale. “L’evoluzione
culturale, una modalità di adattamento non biologica, agisce in parallelo con
l’evoluzione biologica come mezzo per trasmettere la conoscenza del passato e i
comportamenti adattivi attraverso le generazioni. Tutti i conseguimenti
dell’umanità, dall’antichità fino ad oggi, sono i prodotti di una memoria
condivisa, accumulata nel corso dei secoli per il tramite sia di
registrazioni scritte sia di una tradizione orale salvaguardata con cura: Come
la memoria condivisa arricchisce le nostre vite a livello individuale, così la perdita di
memoria distrugge il nostro senso del sé. Recide la connessione con il passato e con
le altre persone, e può manifestarsi durante lo sviluppo infantile oppure colpire un adulto in età
matura”.[5]
In una condizione come questa, inaugurata
dalla stretta relazione tra il cervello e la mente, diviene indispensabile
conoscere come la mente funziona, perché così si conoscono anche le strategie alle quali
fa ricorso il cervello. Sono strategie, però, che esigono l’ascolto, cioè
esigono vedere e interpretare quello che i segnali elettrici che sono alla base
della vita mentale dicono. Difatti i segnali della mente sono segnali elettrici
ossia i mezzi attraverso i quali le cellule nervose, che sono le unità
fondamentali del cervello, comunicano anche a grande distanza. Kandel riferisce
di avere osservato queste forme di comunicazione nel laboratorio di Grundfest,
tanto che le cellule nervose e le cellule muscolari generano un flusso di
corrente elettrica che ogni tanto anche il nostro corpo percepisce con forme di
formicolio. Si tratta pur sempre di messaggi che servono a “portare
informazioni sensoriali relative al mondo esterno nel midollo spinale e nel
cervello e per trasmettere
comandi di azioni dal cervello e dal midollo spinale ai muscoli”.[6]
Queste complesse azioni danno ragione via via
delle scoperte selezionate dai neuro scienziati quando pongono, anche mediante i neuroni
specchio, alla base del movimento il funzionamento del cervello.
Non è certamente la prima volta che abbiamo a che fare con questi meccanismi
affidandomi agli studi del Nobel Kandel, perché il fascino che è capace di
emanare questa materia è straordinario, come straordinario è pensare di
spiegarsi processi di conoscenza e di apprendimento.
Dal fascino, dunque, alla scommessa. E’ vero
che le scoperte che ogni giorno vengono compiute da equipe di ricercatori
aiutano a comprendere le ragioni di certi meccanismi comportamentali, ma è
anche vero che i margini di approssimazione con i quali certe conquiste vanno
accreditate spingono a scommettere sul futuro che non è affatto lineare, ma
procede, come ha ricordato Popper, per confutazioni
e prove, tanto che “la
forza più grande del metodo scientifico è la sua capacità di confutare
un’ipotesi”.[7] E questo, ricorda Kandel, quando la disperazione del
grande Eccles aveva raggiunto l’apice davanti agli insuccessi nel
laboratorio della teoria elettrica della trasmissione sinaptica. Confessa Eccles: “Ho imparato da
Popper ciò che per me è l’essenza dell’indagine scientifica: come essere
speculativi e ricchi di immaginazione nel creare ipotesi, e poi sfidarle con il
massimo del rigore, sia utilizzando tutta la conoscenza disponibile sia
allestendo la più minuziosa offensiva sperimentale. Di fatto ho appreso da lui
anche a rallegrarsi per la confutazione di un’ipotesi tanto amata,
perché anche questa è una conquista scientifica e perché molto è stato imparato
per mezzo di quella confutazione”.
Di qui bisogna tornare all’idea della
scommessa, che potrà essere vincente qualora la serietà del lavoro, l’impegno
profuso e la documentazione raccolta confermeranno le ipotesi, elaborate sul
piano sperimentale. Se il tema è molto complesso, il gioco diventa sempre più
affascinante e ricco di prospettive.
L’amore e la vita emozionale
L’amore nella relazione, soprattutto a due, è
il cemento che unisce, ma va anche segnalata la precarietà del legame
matrimoniale, quando
soprattutto l’eros è dormiente, e la vita di coppia è destinata a
sfilacciarsi[8]. Se l’amore pervade il campo della neurobiologia, attesa
una spiegazione sicura da parte della biologia della mente, certamente esso trascina
con sé il sesso, perché l’uno non può essere disgiunto dall’altro se,
peraltro, coinvolgono entrambi il cervello. Oggi si può affermare con certezza
che se “i tre sistemi principali dell’amore che sono l’attaccamento,
la cura e la sessualità funzionano, allora il legame tra due persone è tenero,
rilassante e sensuale per una intesa feconda e appagante. Nei due partner il
cervello, si sa, funziona e attiva i circuiti della dopamina che assicura ad entrambi il piacere.
Perché questo abbia luogo si comincia dagli sguardi, ma è soprattutto la
conversazione che permette una conoscenza più approfondita e quindi garantisce
un maggiore attaccamento, e una più forte sintonia, che si traducono in sguardi
teneri, in coccole e carezze, accompagnate spesso da parole dolci, a seconda ovviamente dei
soggetti”.[9]
L’amore è divenuto argomento privilegiato
nella ricerca sulla frontiera neuro didattica. Ce ne siamo interessati in epoca
non sospetta, quando il discorso poteva suscitare non dico ilarità, ma certo
una pruriginosa
attenzione[10]; abbiamo ripreso il tema in uno dei lavori più recenti[11] segnalandolo
come il più importante, condividendo il punto di vista di R. Davidson per il quale tutte
le emozioni sono sociali e da esse scaturiscono l’intelligenza sociale, l’empatia primaria,
la sintonia, l’attenzione empatica e la cognizione sociale ma anche le
abilità sociali come la sincronia, la presentazione di sé, l’influenza e la
sollecitudine. Oggi si può condividere l’affermazione di J. Rifkin, secondo il quale
la Civiltà dell’empatia potrà con l’acquisizione di una “coscienza biosferica
ed un’empatia globale” evitare il collasso globale del nostro mondo.
E
l’empatia è alla base dell’amore. Quando si parla di amore romantico con J. Panksepp avvertiamo che
nell’innamoramento due
persone diventano dipendenti l’uno dall’altra, come avviene in un sistema oppioide che circola per i
circuiti della corteccia orbi frontale e nella corteccia cingolata anteriore.
Fortuna vuole che la produzione di ossitocina induce serenità e tranquillità in
entrambi. S’è detto dell’importanza dell’attaccamento, uno stile che accompagna
i comportamenti degli innamorati, finché dura l’amore. Ma anche questo stile si differenzia che è
ciò che dà conto delle inevitabili crisi. Difatti si registra uno stile
ansioso, uno evitante, uno sicuro. Nulla da dire sul terzo, ma il primo e il
secondo determinano comportamenti non continuativi nella relazione. Di solito quello evitante
gioisce quando riesce a riservarsi uno spazio proprio, senza l’altro. L’ansioso è invece perennemente
sospetto, timoroso, incerto. Questi stili compaiono già nell’infanzia e
sono destinati a influenzare la vita dell’uomo e in particolare la sessualità
della persona. Tanto è vero che parecchi problemi vengono risolti in sede
analitica dal terapeuta quando vengono a galla e si dichiarano in tutta la loro
portata”.
Ogni giorno che passa il materiale
conoscitivo sulla natura, la struttura e il funzionamento del cervello si
arricchisce di scoperte. La struttura cerebrale degli omosessuali, a sentire, Ivanka Savic, del
Karolinska Institut di Stoccolma è più simmetrica dei maschi eterosessuali. Il problema,
come avverte E. Boncinelli, è tuttavia quello di considerare se si tratta di
una questione puramente
biologica o se non sia il prodotto di un condizionamento ambientale e di
uno stile di vita. La rilevazione, comunque, della simmetria del cervello è
stata compiuta attraverso l’uso delle tecnologie ormai familiari tra i neuro
scienziati come la risonanza magnetica che fotografa con precisione un organo,
nel caso specifico il nostro cervello, e la tomografia a emissione di positroni
che ne vede come esso funziona.
L’applicazione di queste tecnologie su un
soggetto innamorato è capace di produrre effetti oggettivi, riscontrabili sia
quando tutto funziona sia quando l’amore cessa e viene sostituito, nella più
parte dei casi, dall’odio che alberga, anch’esso nella massa cerebrale, ma che
l’amore può sconfiggere.
Quanto più, tuttavia, si va ad investigare la
natura del cervello, tanto più viene da domandarsi qual è la ragione per cui
certe volte le persone rimangono sorde a certi richiami, quando tutto
trama perché esse siano felici. Forse la felicità non appartiene all’amore romantico.
Chiede ben altra comprensiva e totalizzante visione della personalità
dell’altro partner.
Conclusione
Tanto basta per dare la percezione esatta del
gioco dell’amore, delle emozioni, insomma dei meccanismi cerebrali
nei comportamenti individuali che sono determinati dal funzionamento del
cervello. Gli sviluppi di questo discorso, peraltro, rinviano ai lavori
indicati nelle note a piè di pagina e, soprattutto, ai volumi richiamati nel
testo.
[1] Cfr. L. Rosati, La fine di un’illusione,
Morlacchi, Perugia 2007
[2] Cfr. E. Kandel, Alla ricerca della
memoria, Codice Edizioni, Torino 2007, p. 38
[3] Ibidem, p.10
[4] Cfr. E. Kandel, Alla ricerca della
memoria, op.cit., p.9
[5] Ibidem, pp.11/12
[6] Cfr. E. Kandel, Alla ricerca della
memoria, op. cit., p.68
[7] Ibidem, p. 88
[8] L. Rosati, La sfida del cambiamento,
Morlacchi, Perugia 2007
[9] Ibidem, p.74
[10] Cfr. L. Rosati, et Alii, Umanità e
amore, Anicia, Roma 2001
[11] L.Rosati, La fine di un’illusione, op.
cit.,
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